Riconsiderare il welfare state nell’era digitale: un imperativo etico e progettuale. L’iniziativa “WebFare – Il welfare digitale nell’era dei dati”, recentemente ospitata a Torino, ha rappresentato un’occasione cruciale per affrontare questa sfida complessa, unendo le forze dell’Istituto di Studi Avanzati Scienza Nuova, dell’Università e del Politecnico torinesi. L’evento non si è limitato a un mero scambio di opinioni, ma ha ambito a formulare un nuovo paradigma per il welfare, fondato sulla valorizzazione dei dati generati dagli individui e, soprattutto, sull’affermazione dell’antropocentrismo come principio cardine dell’ecosistema digitale.L’apertura del convegno, affidata a Tania Cerquitelli e Maurizio Ferraris, coordinatori scientifici del progetto, ha subito inquadrato il dibattito in una prospettiva storica e filosofica di ampio respiro. Il richiamo all’atto inaugurale del pontificato di Leone XIV ha evocato una risonanza profonda con la denuncia di Leone XIII, che a cavallo tra Ottocento e Novecento aveva sollevato i primi campanelli d’allarme riguardo all’alienazione prodotta dall’industrializzazione. La similitudine tra le due epoche non è casuale: l’iperconnessione, con la sua ondata di dati e la sua costante richiesta di attenzione, rischia di depersonalizzare l’individuo, rendendolo un mero ingranaggio di un sistema digitale impersonale.Il cuore dell’evento è stato costituito da cinque tavole rotonde tematiche, strutturate attorno a due quesiti fondamentali, proposti da Cerquitelli e Ferraris, volti a stimolare una riflessione critica e interdisciplinare. Questi quesiti non si limitavano a indagare gli aspetti tecnici e legali del welfare digitale, ma si interrogavano sulle implicazioni etiche, sociali e politiche di un modello che integra sempre più strettamente dati, tecnologia e servizi sociali. Un tema ricorrente è stato quello della “data sovereignty” – la sovranità dei dati – ovvero la capacità dell’individuo di controllare e decidere come i propri dati vengono raccolti, utilizzati e condivisi. Questo implica non solo il diritto all’accesso e alla rettifica dei propri dati, ma anche la possibilità di opporsi al loro utilizzo per finalità commerciali o profilazione. Parallelamente, si è discusso dell’importanza di sviluppare algoritmi “explainable” – spiegabili – ovvero in grado di rendere trasparenti i processi decisionali che influenzano l’accesso ai servizi sociali. La “black box” degli algoritmi, spesso opaca e incomprensibile, rischia di perpetuare discriminazioni e di minare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.L’approccio “human-centered design”, ponendo l’esperienza dell’utente al centro del processo di progettazione, si è rivelato cruciale per sviluppare servizi digitali accessibili, intuitivi e personalizzati. Questo implica non solo la disponibilità di tecnologie avanzate, ma anche la capacità di ascoltare i bisogni e le aspettative dei cittadini, coinvolgendoli attivamente nella definizione dei servizi offerti.Infine, l’evento ha sottolineato la necessità di una governance democratica e inclusiva del welfare digitale, che coinvolga non solo i decisori politici, ma anche i rappresentanti della società civile, gli esperti di tecnologia e, soprattutto, i cittadini stessi. Solo attraverso un dialogo aperto e trasparente sarà possibile costruire un modello di welfare digitale che sia realmente al servizio del bene comune e che preservi la dignità e l’autonomia dell’individuo nell’era dell’iperconnessione.