Un’operazione di portata significativa ha colpito le dinamiche criminali che permeano la provincia di Agrigento e il territorio nisseno, con quattordici arresti emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.
Le misure cautelari, eseguite dai Carabinieri nelle località di Favara, Canicattì, Porto Empedocle e San Cataldo, riflettono l’intensificarsi di un’indagine complessa, intrinsecamente legata a precedenti interventi che hanno progressivamente eroso la struttura delle organizzazioni mafiose locali.
L’inchiesta, formalmente avviata nel dicembre 2024, si configura come un naturale proseguimento delle attività che, il 14 gennaio precedente, avevano portato all’applicazione di misure cautelari nei confronti di ben quarantotto individui, ritenuti esponenti apicali e operativi delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e dell’area Agrigento-Villaseta.
La leadership di queste costellazioni criminali è attribuita a Fabrizio Messina, quarantanove anni, e Pietro Capraro, trentanove anni, figure emblematiche del tessuto criminale agrigentino.
L’operazione non si limita a un mero atto di contrasto, ma rivela un quadro preoccupante: nonostante i continui sforzi delle forze dell’ordine, Cosa Nostra agrigentina conserva una capacità operativa sorprendentemente intatta, sostenuta da ingenti risorse finanziarie e da un vasto arsenale.
La persistenza di queste risorse suggerisce una profonda capacità di rigenerazione e di infiltrazione nell’economia legale.
Inoltre, l’indagine ha portato alla luce una fragilità negli equilibri mafiosi, esacerbata dalla pericolosa e documentata interazione tra gli affiliati detenuti e quelli in libertà, un elemento che mina la stabilità del sistema criminale e ne facilita la prosecuzione delle attività illecite.
Elemento particolarmente allarmante è l’emersione di un sistema sofisticato che consente agli uomini d’onore, e ai loro complici, di mantenere attive comunicazioni anche durante i periodi di detenzione, aggirando le misure di sicurezza e coordinando le attività criminali.
Questo dimostra un’elevata capacità di adattamento e di elusione delle forze dell’ordine.
L’associazione criminale è accusata di una serie di reati gravissimi, tra cui incendi, intimidazioni e attentati perpetrati ai danni di imprenditori, commercianti e spacciatori che si sono sottratti alle estorsioni e alle imposizioni del clan.
L’utilizzo della violenza come strumento di controllo territoriale e di punizione per chi non si conforma alle regole mafiose testimonia la pervasività e la brutalità dell’organizzazione.
La scoperta di un consistente numero di armi, inclusi fucili mitragliatori AK-47, utilizzati in atti intimidatori come gli agguagli di dicembre 2024 contro una rivendita di frutta e verdura e di giugno 2024 contro un panificio, conferma la capacità del sodalizio di pianificare e realizzare azioni violente con una spietatezza inquietante.
Questi episodi, caratterizzati dall’utilizzo di armi pesanti, evidenziano la volontà di imporre il controllo del territorio con la forza e la paura, minando la sicurezza dei cittadini e l’economia locale.
L’inchiesta rappresenta quindi un tassello fondamentale nella lotta contro la criminalità organizzata, ma sottolinea anche la necessità di un impegno costante e coordinato per smantellare completamente le radici del potere mafioso.