La sanità in provincia di Agrigento si confronta con una drammatica carenza infrastrutturale che impone ai pazienti oncologici una condizione inaccettabile: sperare nella resilienza di un macchinario obsoleto per garantire la prosecuzione delle cure radioterapiche.
Un’unica apparecchiatura, sottoposta a un utilizzo intensivo e afflitta da frequenti guasti, serve un bacino di popolazione di oltre 430.000 persone, configurando una situazione che viola palesemente gli standard minimi definiti dallo stesso sistema sanitario nazionale.
Questi standard, derivanti da una valutazione attenta delle necessità terapeutiche e demografiche, prevedono una densità di acceleratori lineari di almeno quattro per ogni cinquecentomila abitanti.
La distanza abissale tra questa norma e la realtà agrigentina solleva interrogativi profondi sulla gestione delle risorse e sulla priorità attribuita alla salute dei cittadini.
La mancata acquisizione di nuove tecnologie, nonostante la disponibilità di finanziamenti considerevoli provenienti da fonti diverse – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il Fondo di Coesione, finanziamenti europei specificamente destinati all’innovazione tecnologica nel settore sanitario – rappresenta un fallimento sistemico con conseguenze dirette e gravissime per i pazienti.
L’assenza di un adeguato parco macchine non solo allunga i tempi di attesa, ma costringe molti pazienti a intraprendere spostamenti fuori provincia, spesso in altre regioni, con costi economici e psicologici significativi.
Questo fenomeno, oltre a gravare sulle famiglie, genera un drenaggio di risorse e competenze che impoverisce ulteriormente il territorio.
La situazione ha spinto il vicepresidente di Italia Viva, Davide Faraone, a presentare un esposto alla Procura della Repubblica, con l’obiettivo di accertare eventuali responsabilità a carico dell’attuale governo regionale, guidato da Renato Schifani e con l’assessore alla Sanità, Daniela Faraoni.
L’esposto si concentra sull’ipotesi di omissione di atti d’ufficio, ovvero la mancata esecuzione di atti dovuti e necessari per garantire il corretto funzionamento del servizio sanitario, e sull’interruzione di pubblico servizio, data l’impossibilità di assicurare ai cittadini il diritto alla cura in tempi adeguati.
La vicenda trascende la mera questione della sostituzione di un macchinario; essa rivela una più ampia crisi di visione strategica e di governance nel settore sanitario, con implicazioni che investono il diritto alla salute, l’equità nell’accesso alle cure e la responsabilità della classe politica nei confronti della collettività.
L’esposto rappresenta un atto di denuncia e un appello a un cambiamento radicale nell’approccio alla gestione delle risorse sanitarie, affinché il diritto alla salute non sia compromesso dalla precarietà di un macchinario obsoleto.
La questione agrigentina si configura, pertanto, come un campanello d’allarme che risuona a livello nazionale, evidenziando la necessità di un investimento massiccio e mirato nell’ammodernamento delle infrastrutture sanitarie e nella valorizzazione del capitale umano.






