La vicenda tragica del 27enne Stefano Argentino, accusato dell’omicidio-suicidio di Sara Campanella e deceduto in carcere, solleva interrogativi urgenti e inquietanti sulla gestione della salute mentale dei detenuti e sulle responsabilità intrinseche alla custodia dello Stato.
L’avvocato Giuseppe Cultrera, difensore di Argentino, ha formalmente richiesto l’intervento del Garante dei Detenuti, denunciando una serie di omissioni e scelte procedurali che hanno contribuito, a suo avviso, al tragico epilogo.
La narrazione si complica quando si considera che Argentino, fin dall’ingresso nel carcere di Messina Gazzi, aveva manifestato evidenti segnali di sofferenza psichica e propensione al suicidio.
Inizialmente, la sua condizione aveva giustificato un regime di massima e alta sorveglianza, protocollo essenziale per la salvaguardia della sua vita.
Tuttavia, in maniera inspiegabile e senza previa comunicazione alla difesa, la sorveglianza è stata improvvisamente e silenziosamente ridimensionata, una decisione che, secondo l’avvocato Cultrera, si sarebbe concretizzata già oltre due settimane prima del decesso.
La gestione clinica di Argentino, come riferito dal difensore, prevedeva il supporto di un team di cinque professionisti – quattro psicologi e uno psichiatra.
La domanda che sorge, con un’amarezza palpabile, è come sia possibile che un team così composto non abbia percepito la gravità e l’imminenza della crisi del detenuto, specialmente considerando la sua storia di tentativi di suicidio e la recente fase di profonda disidratazione, manifestata con un rifiuto prolungato di idratazione superiore alle 17 ore.
L’avvocato Cultrera sottolinea un principio cardine del diritto penitenziario: quando lo Stato priva un individuo della libertà personale, assume la responsabilità inequivocabile della sua incolumità.
La declassazione della sorveglianza, quindi, costituisce un errore valutativo di proporzioni enormi, sia dal punto di vista analitico che clinico, e coloro che l’hanno autorizzata dovranno rendere conto delle loro azioni.
L’evento non può essere liquidato come caso fortuito o imprevedibile; si tratta di un suicidio annunciato, una tragedia resa possibile da una gestione clinica carente e da decisioni procedurali discutibili.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda l’installazione, circa due mesi prima del decesso, di una televisione a canali illimitati nella cella di Argentino.
Questa scelta, a detta dell’avvocato, ha esposto il detenuto a una costante esposizione mediatica del caso, spesso filtrata da interpretazioni distorte e sensazionalistiche, senza offrire il necessario supporto psicologico per elaborare gli eventi e gestire la pressione esterna.
La televisione, in questo contesto, ha agito come amplificatore della sofferenza, rendendo più arduo il percorso di guarigione e aumentando il rischio di una crisi terminale.
L’incidente solleva interrogativi profondi sull’etica della gestione della salute mentale in ambiente carcerario e sulla responsabilità dello Stato nei confronti dei detenuti vulnerabili.