venerdì, 6 Giugno 2025
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Brusca libero: riapre la ferita di Capaci e il dibattito sulla giustizia.

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La recente conclusione della libertà vigilata di Giovanni Brusca, soprannominato il “boia di Capaci”, riapre un capitolo doloroso e complesso della storia giudiziaria italiana. L’uomo, figura chiave nell’orchestrazione dell’attentato del 23 maggio 1992 che costò la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicè e Antonio Montinaro, ha visto terminare il periodo di sorveglianza, ultimo atto di una pena che lo ha visto in carcere per venticinque anni.La vicenda di Brusca trascende la semplice cronaca di un boss mafioso liberato. Incarna le contraddizioni di un sistema che, pur applicando la legge, si trova a confrontarsi con la gravità di crimini che hanno segnato profondamente la coscienza collettiva. La sua collaborazione con la giustizia, dopo un iniziale tentativo di negazione e un primo, evidentemente insincero, pentimento, ha permesso di ricostruire dettagli cruciali dell’organizzazione criminale che operava nella San Giuseppe Jato, svelando la struttura di potere e le dinamiche interne alla mafia.L’attentato di Capaci, pianificato e coordinato da Brusca, non fu un episodio isolato, ma il culmine di una strategia terroristica volta a colpire lo Stato e a neutralizzare figure simbolo della lotta alla criminalità organizzata. La sua liberazione, seppur regolata da stringenti misure di protezione e dall’obbligo di risiedere lontano dalla Sicilia sotto una nuova identità, inevitabilmente riaccende il dibattito sulla gestione dei collaboratori di giustizia, sull’equilibrio tra pena e risarcimento sociale, e sulla difficoltà di spezzare definitivamente il ciclo di violenza e di intimidazione perpetrato dalla mafia. La decisione di avvalersi della sua collaborazione, pur avendo portato a importanti sviluppi nelle indagini e alla cattura di altri membri dell’organizzazione, solleva interrogativi etici e giuridici che meritano un’attenta riflessione. La “beneficio” garantito a un uomo che ha contribuito a un atto di portata così devastante, pone al centro la questione della giustizia non solo come applicazione di una norma, ma come risposta al dolore e alla richiesta di verità delle vittime e delle loro famiglie. La sua storia è una ferita aperta, un monito costante sulla necessità di continuare a combattere la mafia con determinazione, integrità e un profondo senso di responsabilità verso il futuro.

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