La liberazione di Giovanni Brusca, figura centrale nell’orribile mattinata del 23 maggio 1992, segna la conclusione di un capitolo doloroso nella storia giudiziaria italiana. Considerato l’effettivo “boia” di Capaci, l’uomo che, agendo come un esecutore materiale, azionò il dispositivo a distanza che determinò la strage che costò la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Brusca ha visto terminare la sua libertà vigilata, dopo quattro anni di sorveglianza.La vicenda di Brusca è emblematica di una complessità radicata nel sistema di giustizia e nel delicato rapporto con la mafia. Dopo un lungo periodo di latitanza e un primo tentativo di minimizzazione del suo ruolo, il boss di San Giuseppe Jato optò per la collaborazione con la magistratura, un percorso costellato di interrogativi e sospetti. La sua testimonianza, pur fornendo elementi cruciali per ricostruire la dinamica dell’attentato e identificare altri responsabili, non ha mai completamente esorcizzato il dubbio di una strategia di salvaguardia del proprio interesse.I venticinque anni di detenzione scontati rappresentano una frazione del tempo necessario per assimilare la gravità dei crimini commessi. La scarcerazione, inevitabile alla luce delle disposizioni di legge e del percorso di collaborazione, ha generato un’onda di sconcerto e rabbia nell’opinione pubblica, alimentata dal ricordo indelebile della tragedia e dalla difficoltà di conciliare il senso di giustizia con le regole procedurali.Oggi, Brusca si appresta a rientrare in una nuova esistenza, protetto da un’identità fittizia e sotto la costante sorveglianza di un programma di protezione testimoni. La sua scomparsa dalla sfera pubblica, pur garantendo la sua sicurezza, lascia un vuoto di domande senza risposta e riapre il dibattito sulla necessità di una profonda riflessione sul ruolo dei collaboratori di giustizia, sui limiti della riabilitazione e sulla memoria delle vittime, un dovere imprescindibile per non dimenticare e per contrastare efficacemente il fenomeno mafioso. La liberazione di Brusca non è una chiusura, ma un monito a vigilare, a non cedere alla superficialità e a perseguire senza sosta la verità e la giustizia per tutte le vittime della mafia.
Brusca libero: un capitolo chiuso, ma la rabbia resta.
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