Il silenzio gravido di dolore incombe sul cimitero di Canicattì, un peso tangibile che si addensa attorno alle tre bare disposte in terra.
Qui, si celebra il lutto per una bambina di appena undici mesi, per il padre, un uomo giovane strappato alla vita, e per un altro migrante, figura anonima ma parte integrante di questa tragedia umana.
Un naufragio, due barconi inghiottiti dal mare a quattordici miglia da Lampedusa, ha segnato un punto di rottura, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile.
Accanto alle bare, il volto segnato dalla sofferenza di Uba, la madre somala, sopravvissuta all’orrore.
La giovane, venticinquenne, assiste, con occhi spenti, a un nuovo, doloroso riconoscimento delle salme, un’ulteriore conferma di quella perdita devastante che l’ha colpita.
Il primo, immediato, avvenuto all’hotspot di Lampedusa, non era bastato a lenire il suo dolore, a dare una forma definitiva alla sua perdita.
Unico rappresentante istituzionale presente, il sindaco di Canicattì, Vincenzo Corbo, testimonia l’amarezza di una comunità che si confronta con l’infinita sofferenza della migrazione.
Un’umanità fragile, sospinta dalla speranza e dalla disperazione, che cerca rifugio in un mare spesso implacabile.
In un primo momento, Uba aveva espresso il desiderio di trasferire le salme della figlia e del marito in un altro paese, lontano da questa terra che le ha strappato via tutto.
Un atto comprensibile, forse, per cercare una forma di consolazione in un ambiente nuovo, lontano dalle cicatrici di questa tragedia.
Tuttavia, la donna ha poi cambiato idea, accogliendo la proposta di tumulazione nel cimitero di Canicattì.
Una scelta significativa, che forse riflette un desiderio di radicamento, di trovare un luogo di riposo definitivo, anche in questa terra che le ha offerto, almeno per un breve periodo, un’apparente sicurezza.
La tumulazione è prevista in campo aperto, rifiutando i loculi messi a disposizione dal Comune.
Un gesto che evoca l’idea di un legame con la terra, un ritorno alle origini, un modo per dire che, nonostante tutto, anche in questo dolore profondo, la vita trova un modo per fiorire, per lasciare una traccia indelebile.
Le lapidi, nel tempo, saranno testimoni silenziose di una storia di speranza, di migrazione, di perdita e, forse, di una ritrovata pace.