Nel retaggio oscuro della mafia catanese, emerge ora una nuova e drammatica ricostruzione degli eventi che portarono al duplice omicidio di Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, avvenuto il 31 ottobre 1990 all’interno delle Acciaierie Megara.
Le indagini, culminate in un avviso di conclusione indagini notificato ad Aldo Ercolano, detenuto in carcere, riconducono il nipote del defunto boss Benedetto Santapaola a un ruolo di primo piano nell’organizzazione dell’agguato.
L’ipotesi accusatoria, sostenuta dalla Procura Generale di Catania e corroborata da fonti giudiziarie, dipinge Ercolano come l’architetto di un piano volto a piegare la volontà di Rovetta e Vecchio, dirigenti delle Acciaierie Megara, e a garantirgli la sistematica estorsione di denaro, un ‘pizzo’ che avrebbe alimentato il potere economico e territoriale della famiglia mafiosa catanese.
Ercolano, figura emergente dopo l’arresto dello zio, avrebbe assunto il ruolo di ‘alter ego’, ereditando la responsabilità di gestire il controllo del territorio e la conseguente imposizione del tributo estorsivo.
L’inchiesta, frutto del lavoro congiunto del nucleo di Polizia giudiziaria interforze e della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) di Catania, ricostruisce una trama complessa, intessuta di minacce, intimidazioni e violenze, finalizzata a coercere gli amministratori delle Acciaierie Megara.
Oltre all’agguato fatale, si evince che le intimidazioni comprendevano messaggi simbolici, come il ritrovamento di proiettili indirizzati a un dirigente e nel giardino della moglie di Rovetta, atti volti a rendere inequivocabile la gravità delle conseguenze in caso di mancata compliance.
Le accuse mosse ad Ercolano si aggravano con la contestazione di premeditazione e l’applicazione di circostanze aggravanti, quali i motivi abbietti e futili, che sottolineano la crudeltà e l’insensatezza del gesto, funzionali a consolidare il dominio mafioso e a perseguire interessi economici illeciti.
L’inchiesta estende l’attenzione ad altri quattro indagati – Vincenzo Vinciullo, Antonio Alfio Motta, Francesco Tusa e Leonardo Greco – accusati di associazione mafiosa ed estorsione, individui che, secondo l’accusa, hanno contribuito attivamente nell’attuazione del piano criminale.
Il ruolo di Leonardo Greco, in particolare, è descritto come quello di organizzatore, mentre si ipotizza che il defunto Benedetto Santapaola, padre di Aldo Ercolano, avesse precedentemente esercitato la funzione di mandante di tangenti mafiose.
L’estorsione, secondo la Procura Generale, non fu opera esclusiva di questi individui, ma si avvalse della collaborazione di esponenti di spicco di Cosa Nostra, ormai tutti scomparsi: Bernardo Provenzano, Pippo Ercolano, Nicolò Greco, Lucio Tusa e Luigi Ilardo.
La vicenda, inoltre, rivela un quadro di profonda ingerenza mafiosa nelle attività commerciali, con Alfa Acciai di Brescia, indicata come parte offesa, costretta a versare ingenti somme di denaro – un miliardo di vecchie lire, distribuite in tranche – ai vertici di Cosa Nostra.
La ricostruzione degli eventi, unitamente alle accuse mosse, getta nuova luce sulle dinamiche criminali che hanno segnato la storia della mafia catanese e sulle responsabilità individuali che ne sono derivate.







