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Cellulari in carcere: allarme Curcio, un’emergenza da fermare.

La problematica della circolazione illegale di dispositivi mobili all’interno degli istituti penitenziari rappresenta una sfida complessa e persistente, che mina profondamente l’efficacia del sistema giudiziario e compromette la riabilitazione dei detenuti.
Il procuratore capo di Catania, Francesco Curcio, ha recentemente sollevato con chiarezza la questione, sottolineando come questa falla di sicurezza non sia un mero dettaglio tecnico, ma un ostacolo sistemico che richiede un intervento strategico a livello amministrativo e politico.

L’impossibilità di esercitare un controllo adeguato sulla presenza di telefoni cellulari nelle carceri non solo frustra l’obiettivo primario della pena, che dovrebbe essere la rieducazione, ma alimenta anche un’ulteriore spirale di criminalità all’interno e all’esterno delle mura.

Come si può realisticamente parlare di reinserimento sociale e di recupero se i detenuti mantengono, attraverso comunicazioni clandestine, legami con le organizzazioni criminali e continuano a perpetrare azioni illecite? La pena, in questo contesto, si trasforma in una mera formalità, svuotata di ogni reale significato.

Il procuratore Curcio ha giustamente evidenziato come la possibilità di comunicare liberamente dall’interno del carcere vanifichi anni di indagini complesse, processi costosi e il prezioso lavoro svolto da magistrati e forze dell’ordine.

Le risorse finanziarie e umane investite in questi procedimenti vengono sprecate se i risultati ottenuti vengono annullati dalla possibilità di continuare a delinquere in libertà virtuale.

L’operazione condotta dalla polizia di Catania contro il clan Scalisi di Adrano, che ha portato all’arresto di quattordici indagati, offre un quadro preoccupante.
Il tentativo di vendetta orchestrato dal boss Pietro Lucifora, con l’utilizzo di finte divise da carabiniere per avvicinare le vittime, dimostra la capacità delle organizzazioni criminali di adattarsi e di sfruttare le debolezze del sistema.
Questa pianificazione meticolosa, volta a perpetrare omicidi in relazione a una rissa precedente, sottolinea l’urgenza di rafforzare le misure di sicurezza e di contrasto all’interno degli istituti penitenziari.

La soluzione, come suggerito dal procuratore Curcio, risiede nell’implementazione di sistemi di schermatura efficaci, in grado di bloccare le comunicazioni esterne.

Questa non è una misura punitiva, ma un prerequisito fondamentale per garantire l’effettività della pena e per proteggere la sicurezza pubblica.
Investire in tecnologie avanzate e in personale specializzato non è un costo, ma un investimento strategico che mira a ripristinare la credibilità del sistema giudiziario e a tutelare la società dalle minacce esterne.

È imperativo agire con determinazione per affrontare questa sfida, non solo a Catania, ma in tutto il Paese, al fine di restituire significato alla pena e di garantire un futuro più sicuro per tutti.

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