La sentenza del giudice unico, Marta Maria Roberta Bossi, ha segnato una tappa significativa nel processo contro Salvatore Mirto, il diciannovenne accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di quattordici anni.
L’iniziale richiesta di condanna a tre anni da parte del pubblico ministero si è tradotta in una pena più severa, pari a cinque anni e quattro mesi, un verdetto che riflette la gravità delle accuse e la complessità del quadro emergente.
L’aggiunta di misure accessorie, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e un risarcimento provvisorio di 10.000 euro ai genitori della minore, assistiti dall’avvocato Elena Maiorca, sottolinea l’impatto devastante del crimine e la necessità di una risposta legale adeguata.
Il racconto della vittima, al centro del processo, ha delineato un percorso angosciante, iniziato con una serata apparentemente innocua.
L’accesso a un locale, in compagnia di coetanei, si è rivelato un punto di vulnerabilità, esacerbato dalla falsificazione dell’età e dall’ordinazione di un cocktail alcolico.
La ragazza ha descritto come l’alcol abbia inizialmente alterato la sua percezione, offuscando i segnali di pericolo.
Tuttavia, un successivo consumo ha portato a un crollo degli effetti inebrianti, lasciandola in una condizione di compromissione.
L’incontro con Salvatore Mirto e la conseguente passeggiata verso la scogliera dell’Addaura hanno rappresentato un momento critico.
La vittima ha testimoniato con chiarezza di aver espresso il rifiuto di qualsiasi contatto fisico, ribadendo la propria giovane età e la propria condizione di minore.
Nonostante le sue esplicite dichiarazioni, l’aggressore avrebbe minimizzato le sue preoccupazioni con frasi rassicuranti, preludio a un evento traumatico che ha lasciato cicatrici indelebili.
La conferma medica del Policlinico ha corroborato la versione della vittima, confermando la natura violenta dell’atto.
La vicenda non si è conclusa con l’episodio della scogliera.
Successivamente, la figura di Mirto è stata riconosciuta da frequentatori del locale di Sferracavallo, che lo hanno affrontato in un confronto avvenuto nei pressi di un McDonald’s a Tommaso Natale.
L’alterco si è trasformato in una rissa, portando all’intervento delle forze dell’ordine e all’identificazione e fermo del giovane.
Questo episodio ulteriore, successivo al crimine, riflette il senso di indignazione e la necessità di giustizia che ha investito la comunità.
L’avvocato difensore, Pietro Capizzi, ha annunciato l’intenzione di appellarsi alla sentenza, sollevando interrogativi sul peso delle prove e sull’interpretazione dei fatti.
La decisione del giudice, tuttavia, ha segnato un punto di svolta, offrendo un parziale risarcimento alla vittima e alla sua famiglia, e inviando un messaggio forte contro la violenza sessuale sui minori.
L’intera vicenda pone interrogativi cruciali sulla responsabilità sociale, la prevenzione del crimine e la protezione dei soggetti più vulnerabili.