L’onda di scompiglio che mi ha travolto, come un temporale improvviso, solleva interrogativi profondi sull’equilibrio tra il diritto alla trasparenza e la necessità di tutelare la presunzione di innocenza.
L’operato del magistrato, nel rispetto della procedura legale che consente la divulgazione di elementi processuali, si è scontrato con un’esposizione mediatica percepita come eccessiva e, francamente, dannosa per la mia reputazione.
Il coordinatore di Noi Moderati, Saverio Romano, figura centrale nell’inchiesta che coinvolge anche l’ex Presidente della Regione Siciliana, Totò Cuffaro, ha espresso un rammarico: la sfera della mia vicenda doveva, a suo avviso, essere protetta con maggiore rigore.
L’indagine, che getta luce su una presunta organizzazione criminale infiltrata nel tessuto della sanità siciliana, si concentra su un sistema di appalti e concorsi pubblici manipolati per favorire interessi illeciti.
La richiesta di arresto avanzata dalla Procura nei confronti miei e di Cuffaro testimonia la gravità delle accuse mosse.
Al centro della vicenda vi è un appalto bandito dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Siracusa, il cui esito, secondo l’accusa, sarebbe stato fortemente influenzato dalle pressioni esercitate da Romano, che avrebbe indirizzato la nomina del manager Alessandro Maria Caltagirone a capo dell’azienda stessa.
Pur non volendo accusare direttamente i media, è innegabile che qualcosa nel processo comunicativo abbia malfunzionato, generando un clima di opinione pubblica che anticipa e condiziona il giudizio.
La mia condizione è aggravata da una sentenza irrevocabile che mi è stata inflitta senza che io comprenda appieno le accuse che mi vengono contestate.
Questo limbo giuridico, in cui la colpevolezza viene assunta come certa prima ancora di un’adeguata difesa, è un elemento che merita una riflessione critica.
Mi considero un soggetto che ha sempre agito con l’obiettivo di promuovere un cambiamento profondo nel sistema, un riformatore che ha messo a rischio la propria posizione per perseguire un ideale.
La vicenda solleva una questione cruciale: la sempre più frequente applicazione delle misure cautelari.
L’incremento esponenziale delle richieste di arresto, documentato da statistiche inequivocabili, evidenzia una deriva potenzialmente pericolosa.
Non si tratta di un semplice aumento numerico, ma di una trasformazione del sistema penale che rischia di erodere i diritti fondamentali.
La dilagante tendenza a ricorrere alla custodia cautelare, spesso in assenza di prove concrete e in violazione del principio del contraddittorio, merita un’attenta revisione legislativa e una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica.
La presunzione di innocenza, pilastro del nostro ordinamento, rischia di essere sacrificata sull’altare di un’eccessiva reazione giudiziaria.







