Il mare, specchio di disperazione e testimone silenzioso di tragedie inenarrabili, ha restituito ieri alla Life Support di Emergency due corpi senza vita, recuperati in acque internazionali all’interno della zona SAR (Search and Rescue) libica. L’emergenza era stata inizialmente segnalata giovedì da Sea-Watch, la cui ricognizione aerea condotta da Seabird aveva documentato con immagini crude uno dei corpi, rivelando la presenza di altri cinque in condizioni analoghe. “Siamo qui per salvare vite, non per raccogliere i resti di chi le ha perdute,” dichiara Anabel Montes Mier, capomissione della Life Support, la cui voce, pur intrisa di professionalità, tradisce un profondo dolore.Le circostanze che hanno condotto a questo tragico epilogo rimangono avvolte nell’ombra. L’ipotesi più plausibile, formulata dagli esperti a bordo, suggerisce un naufragio non tempestivamente comunicato, oppure un evento segnalato ma ignorato per un lasso di tempo eccessivo, con conseguenze fatali. Non si esclude, inoltre, l’intervento di forze di guardia costiera libiche o di altri attori locali, il quale potrebbe aver spinto alcuni naufraghi a gettarsi in mare per evitare il rimpatrio in Libia, paese noto per le sue sistematiche violazioni dei diritti umani.La difficoltà nell’identificazione del sesso dei due corpi, dovuta all’avanzato stato di decomposizione, sottolinea ulteriormente la lunghezza del tempo trascorso in acqua, stimato dal medico di bordo, Umberto Marzi, in almeno una settimana. Questo lasso di tempo, cruciale per la ricostruzione degli eventi, solleva interrogativi inquietanti sulla risposta delle autorità e sulla possibilità di aver perso opportunità di soccorso.L’incidente non può essere considerato un evento isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di gestione dei flussi migratori che si rivela profondamente disumano. La devoluzione della gestione a Paesi Terzi, spesso privi di standard minimi di tutela dei diritti fondamentali, è una scelta politica che comporta un prezzo in termini di vite umane. La responsabilità di questa situazione, quindi, non ricade unicamente sulle forze in mare, ma anche su chi, a livello istituzionale, ha deciso di appaltare la gestione di una crisi umanitaria a entità non idonee.La nave di Emergency, con il pesante fardello di due vite spezzate, si dirige verso Augusta, portavoce silenziosa di una tragedia che si ripete incessantemente. L’arrivo previsto per domenica 29 giugno alle 12:00 rappresenta un momento di raccoglimento e di riflessione, ma anche un monito urgente per un cambio di rotta, per una politica migratoria che metta al centro il rispetto della dignità umana e il diritto alla vita. Ogni corpo recuperato è una ferita aperta sulla coscienza europea, un’accusa inconfutabile di indifferenza e complicità.
Due corpi recuperati in mare: tragedia e accuse all’Europa.
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