Fiaccolata a Torino: Libero Shahin!, Appello per i Diritti Umani

Un fiume di luci e voci si è riversato nel cuore di Torino, un corteo di quattrocento persone che ha incrociato le vie del centro storico, sollevando un grido corale: “Libero Shahin!”.

La fiaccolata, un atto di solidarietà tangibile, ha preso il via da Piazza Castello, srotolandosi lungo Via Pietro Micca, un serpente luminoso che portava con sé un messaggio chiaro e inequivocabile, impresso su uno striscione: “Libero Shahin, Nessuno Espulso per Sostegno alla Palestina”.

La mobilitazione è nata in risposta all’espulsione di Mohamed Shahin, un uomo profondamente radicato nella comunità torinese.

Imam della moschea di Via Saluzzo, Shahin, quarantasette anni e vent’anni di vita in Italia, è stato definito dalle autorità come una “minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”, con conseguente ordine di espulsione.

Questa decisione, al di là della sua immediatezza, ha innescato un’onda di indignazione e polemiche, trasformando il caso Shahin in una questione politica di rilievo nazionale.
Le forze di opposizione, infatti, si sono schierate a difesa dell’imam, chiedendo al governo un immediato intervento per sospendere il procedimento di rimpatrio.

L’espulsione, ancor più di quanto già denunciato dai suoi sostenitori, solleva interrogativi profondi sul concetto stesso di protezione e asilo politico.

Shahin, attivista oppositore del regime egiziano di Al Sisi, teme per la sua incolumità in caso di rimpatrio, e ha quindi formalmente richiesto il riconoscimento della protezione internazionale, una procedura che dovrebbe garantire la tutela di chi fugge da persecuzioni motivate da ragioni politiche, religiose o di altro genere.
Il fatto che un uomo che ha contribuito alla vita religiosa e sociale della città, che ha operato in modo trasparente e pacifico per anni, venga improvvisamente etichettato come una minaccia alla sicurezza nazionale e deportato, risuona come una ferita alla coscienza civile.

La vicenda Shahin non è semplicemente un caso di espulsione, ma un campanello d’allarme che interroga i criteri di valutazione della sicurezza, il ruolo della diplomazia e la capacità dello Stato di accogliere e proteggere chi, pur provenendo da contesti diversi, condivide i valori di libertà e giustizia.
La fiaccolata di Torino, dunque, si erge come un atto di resistenza, un appello alla ragione e un monito contro l’arbitrio del potere.

Il destino di Shahin, in definitiva, incarna una sfida cruciale per il futuro dell’Italia, una nazione che si definisce democratica e fondata sul rispetto dei diritti umani.

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