Il caso Filippo Asero e Ada Rotini, culminato con la definitiva conferma della condanna all’ergastolo da parte della Corte di Cassazione, non si riduce ad una mera vicenda di cronaca nera, ma solleva interrogativi profondi sul tema della violenza di genere, sulla responsabilità dello Stato e sulla necessità di un cambio di paradigma nella gestione dei fenomeni di stalking e molestie.
L’efferato omicidio, avvenuto a Bronte nell’agosto del 2021, ha visto la vittima, Ada Rotini, 46 anni, brutalmente assassinata con oltre quaranta coltellate in un agguato pubblico, un gesto di inaudita ferocia che ha sconvolto l’intera comunità.
La sentenza, confermata in ogni grado di giudizio, testimonia la pervasività e l’implacabilità della violenza maschile contro le donne, una piaga sociale che affligge il nostro Paese.
L’assenza di attenuanti, sottolineata dall’avvocato Giuseppe Cultrera, legale dei familiari della vittima, evidenzia la deliberata e premeditata volontà di Asero di eliminare Ada, una decisione corroborata da anni di comportamenti persecutori che avevano già afflitto la donna.
Il processo ha fatto emergere un quadro inquietante: non si trattava di un atto impulsivo, ma di un disegno malato, alimentato da rancore e ossessione.
L’insistenza nella reiterazione dei comportamenti vessatori, le minacce, le intimidazioni, rappresentano un percorso graduale di escalation che ha portato al tragico epilogo.
La denuncia, presentata dalla vittima, e la conseguente inerzia o inadeguatezza del sistema di protezione hanno lasciato Ada in una condizione di vulnerabilità che l’ha resa preda di un aggressore determinato.
Questa vicenda, pertanto, non deve essere semplicemente archiviata come una tragedia individuale, ma deve stimolare una riflessione critica sull’efficacia delle misure di prevenzione e protezione delle donne vittime di violenza.
È imprescindibile rafforzare le risorse destinate ai centri antiviolenza, migliorare la formazione degli operatori del diritto e promuovere una cultura della responsabilità e del rispetto che contrasti gli stereotipi di genere e la narrazione distorta delle relazioni tossiche.
L’episodio occorso ad Ada Rotini deve fungere da campanello d’allarme, un monito per le istituzioni, affinché investano in programmi di sensibilizzazione, sostegno psicologico e assistenza legale per le donne che si trovano in situazioni di pericolo.
La prevenzione, la tempestività e l’empatia rappresentano i pilastri fondamentali per spezzare il ciclo della violenza e garantire a ogni donna il diritto di vivere una vita libera da paura e terrore.
La socialità, intesa come tessuto connettivo che promuove l’inclusione e il dialogo, riveste un ruolo cruciale per contrastare l’isolamento e la marginalizzazione che spesso alimentano la violenza.
La memoria di Ada Rotini, quindi, deve continuare a ispirare un impegno costante e determinato per un futuro più giusto e sicuro per tutte le donne.






