venerdì 15 Agosto 2025
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Marea di dolore: ventitrè vite inghiottite nel Mediterraneo.

La marea, un tempo promessa di speranza, si è trasformata in un mostro divoratore.

Una giovane madre somala, il volto segnato dalla disperazione, riviveva l’istante in cui la sua neonata, un peso fragile tra le braccia, era stata strappata via dall’acqua che iniziava a sommergere la precaria imbarcazione.

Il marito, incapace di lottare contro la furia del mare, era scomparso in un vortice di schiuma e onde, cancellato dalla vastità dell’orizzonte.

Fino a poche ore prima, la flebile fiammella della speranza aveva resistito, alimentata dalla possibilità di un miracolo, di un soccorso.
La conferma definitiva, la ferita più profonda, è giunta con l’implacabile sequenza fotografica mostrata dalle autorità: ventitrè anime inghiottite dalle profondità, ventitrè storie troncate.

Accanto al dolore della madre, un giovane uomo somalo, il cuore lacerato, riconosceva i lineamenti della cugina adolescente e del fratello, un ragazzino ancora legato all’innocenza di un’età che non potrà mai vivere.

Il dolore si manifestava in un singhiozzo soffocato, in un’incapacità di articolare un pensiero compiuto, solo un mantra disperato: “Non è possibile, non è possibile…”.
Il processo di identificazione, un iter cruento che continua a strappare via il velo della speranza, ha permesso a un adolescente egiziano, sopravvissuto al macabro evento, di riconoscere lo zio e il nipote, legati a lui da un rapporto di affetto e di parentela.
Questi uomini, come molti altri, avevano abbandonato la propria terra, spinti dalla disperazione e dalla promessa di una vita migliore, solo per essere imprigionati in Libia e poi inghiottiti dal mare.

Un altro giovane egiziano, tra i sopravvissuti, ha riconosciuto l’amico con il quale aveva condiviso l’inizio del viaggio, un viaggio intriso di sogni e di speranze, ora ridotto a un amaro ricordo.
Tra i ventuno minori non accompagnati scampati al naufragio, uno, sopraffatto dal dolore, ha riconosciuto il nipote, chiudendosi in un silenzio assordante, incapace di rispondere alle domande dei mediatori culturali.

Una donna somala ha confermato l’identità di un cugino, dando un nome e un cognome a un volto che non tornerà più.

Una giovane ragazza, testimone diretta di una tragedia incommensurabile, ha rifiutato, con coraggio e dignità, di partecipare al macabro processo di identificazione.

Il peso del lutto, l’isolamento in un centro di accoglienza, l’assenza dei propri affetti, l’hanno prostrata, ma non hanno scalfito la sua resilienza.

La sua silenziosa sofferenza è un grido muto che si leva contro l’indifferenza del mondo.

La marea ha portato via più di ventitrè vite; ha strappato via sogni, speranze, identità, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile e un dolore che si propaga come un’onda implacabile.

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