La comunità di Agrigento è scossa dalla tragica scoperta di un corpo femminile, identificato come quello di Marianna Bello, ritrovato in circostanze inquietanti in un fitto canneto che costeggia un affluente del fiume Naro.
La sua scomparsa, avvenuta il 1° ottobre a Favara, aveva generato un’ondata di preoccupazione e speranza, ora spenta dalla crudele realtà del ritrovamento.
La drammatica sequenza degli eventi si è dipanata quando un gruppo di cacciatori, impegnati nella loro attività mattutina, si è imbattuto nel macabro spettacolo.
 L’identificazione è stata resa possibile dalla presenza di tatuaggi, uno dei quali ben visibile al polso, un dettaglio cruciale che ha permesso ai familiari di confermare l’identità della donna.
La scomparsa di Marianna, avvenuta durante un violentissimo nubifragio che aveva investito Favara, aveva inizialmente alimentato la speranza di un salvataggio, ma le avverse condizioni meteorologiche avevano reso immediatamente difficoltosi i soccorsi.
 Le piogge torrenziali, accompagnate da forti venti, avevano innescato un’inondazione improvvisa, travolgendo tutto ciò che si trovava lungo il suo percorso.
L’esame autopsia, eseguito a seguito del ritrovamento, sarà determinante per chiarire le cause del decesso e ricostruire con precisione gli ultimi momenti della vita di Marianna.
 Gli inquirenti, nel frattempo, stanno vagliando tutte le ipotesi, escludendo prematuramente solo quelle più improbabili.
 La ricostruzione del percorso della donna dopo la scomparsa rappresenta una priorità, al fine di comprendere come il suo corpo sia finito in quel punto specifico, distante dal luogo in cui era stata vista l’ultima volta.
La notizia ha colpito profondamente la famiglia e gli amici di Marianna, che si sono recati sul luogo del ritrovamento.
 La loro sofferenza è palpabile, alimentata dalla consapevolezza di un dolore immenso e dalla difficoltà di accettare una perdita così improvvisa e tragica.
Questo ritrovamento solleva interrogativi profondi sulla fragilità umana di fronte alla forza distruttiva della natura e sulla necessità di rafforzare i sistemi di prevenzione e gestione delle emergenze idrogeologiche, soprattutto in aree particolarmente vulnerabili come quella agrigentina.
La comunità è chiamata a confrontarsi con una ferita aperta, un monito amaro sulla precarietà dell’esistenza e sulla necessità di un rinnovato impegno nella tutela della vita umana e dell’ambiente.



                                    


