Nino Giaramidaro, figura poliedrica che trascende la definizione di giornalista, si manifesta come un narratore visivo, un pittore di parole e un poeta dell’immagine. La sua eredità, ora celebrata in una mostra antologica presso la galleria Arvis di Palermo (31 maggio – 7 giugno), rivela un occhio acuto e sensibile capace di catturare l’essenza di un’epoca e la complessità dell’animo umano. La scomparsa dell’autore, avvenuta nel corso dell’anno precedente, conferisce alla retrospettiva un valore ancora più profondo, un’occasione per ripercorrere un percorso artistico intenso e profondamente radicato nel territorio siciliano.Lungi da una cronaca puramente documentaristica, il lavoro di Giaramidaro si configura come un’indagine antropologica, un tentativo di comprendere le dinamiche sociali ed emotive che plasmano l’esistenza. I nuclei tematici della mostra – il sisma del Belice, l’infanzia sfruttata, l’abbraccio del mare, le metropoli globali, il volto segreto di Palermo, i colori e le forme dell’isola, il sacro e il profano, le città del mondo – non sono semplicemente argomenti, ma finestre aperte su un universo di esperienze condivise.Il terremoto del Belice del 1968 si staglia come un momento fondante, un evento catalizzatore che ha segnato profondamente la sua visione del mondo e la sua pratica fotografica. Il suo reportage, uno dei primi a documentare la tragedia, pubblicato su “L’Ora”, testimonia un coraggio intellettuale e una capacità di sintesi impressionanti. Questo evento non solo definì la sua carriera giornalistica, che lo vide successivamente al “Giornale di Sicilia”, ma anche il suo impegno civile, la sua volontà di dare voce a chi non ne aveva.Il cuore pulsante delle sue opere, diffuse su diverse riviste, è l’uomo, nella sua vulnerabilità e nella sua forza. Non un uomo astratto, ma un individuo concreto, intriso di storia e di cultura, con le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze, le sue paure, le sue pratiche religiose, spesso permeate di elementi ancestrali e di un profondo legame con la terra.Giaramidaro concepiva la fotografia come uno strumento di scoperta, un modo per svelare l’invisibile, per sorprendere lo spettatore e per offrire una nuova prospettiva sulla realtà. “Fotografo solo ciò che mi emoziona, ciò che non ho mai visto”, affermava, rivelando un approccio fortemente personale e un’esigenza di autenticità. La sua ricerca non era finalizzata a immortalare momenti fugaci, ma a catturare l’essenza di un’esperienza, a preservare la memoria di un gesto, di uno sguardo, di un sorriso. Un tentativo, in definitiva, di fotografare la vita prima che si trasformasse in ricordo sbiadito, destinato all’oblio. La sua fotografia è una testimonianza preziosa, un’eredità culturale che invita alla riflessione e alla compassione.
Nino Giaramidaro: un’eredità fotografica tra Sicilia e mondo.
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