Il sipario si preannuncia incerto, un presagio inatteso che irrompe nel cuore della presentazione della stagione lirica del Teatro Massimo di Palermo.
Lo sciopero dei sindacati, ufficializzato per il 21, nebbia una celebrazione che ambiva a inaugurare la stagione con una potente riflessione sulla violenza di genere.
Il cartellone luminoso prometteva un dittico inedito, un’accostamento audace tra *Aleko* di Rachmaninov e *Pagliacci* di Leoncavallo, opere composte nel 1892 che dialogano, a distanza di oltre un secolo, con una drammatica attualità.
La scelta programmatica, in un mese dedicato alla Giornata contro la violenza sulle donne, non è casuale.
Entrambe le opere, pur nella loro diversità culturale – il verismo russo di Rachmaninov si intreccia con il verismo italiano di Leoncavallo – condividono una tragica ricorrenza: il femminicidio.
*Aleko* culmina con un atto di violenza irreparabile: il protagonista maschile, accecato dalla gelosia, trafigge la sua amata Zemfira e il suo spasimante, in un orizzonte di sangue all’alba.
Analogamente, *Pagliacci* narra la storia di Canio, consumato dalla passione e dalla vendetta, che assassina Nedda e il suo amante.
Il palcoscenico si presenta come un campo di contrasti, incarnato dalla figura della soprano Carolina Lopez Moreno, interprete sia di Zemfira che di Nedda, due vittime di un destino segnato dalla violenza maschile.
Accanto a lei, un cast internazionale di eccellenza: Elchin Azizov, baritono azero che incarna Aleko e Tonio, e il tenore Brian Jagde nei panni di Canio.
*Aleko*, in una prima esecuzione scenica in Italia, emerge come una gemma rara, un atto unico tratto dal poema di Puskin e musicato da Rachmaninov su libretto di Vladimir Nemirovic-Dancenko, un’opera che ora si confronta con la potenza emotiva di *Pagliacci*.
L’allestimento, una nuova produzione della Fondazione, segna il debutto a Palermo della regista Silvia Paoli, chiamata a gestire un’operazione artistica di grande complessità.
In un contesto storico e sociale tormentato, il Teatro Massimo si erge a baluardo di cultura, ma non solo: come sottolinea il direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta, il teatro non può limitarsi all’intrattenimento, ma deve diventare uno spazio di riflessione critica e di stimolo per la riqualificazione delle idee.
È un luogo dove l’arte si confronta direttamente con le ferite della società, interrogando il rapporto complesso e spesso distruttivo tra arte, cultura e coscienza civile.
Il dibattito, lungi dall’essere relegato tra le quinte, deve irrompere con forza nel cuore dell’esperienza teatrale, trasformando lo spettacolo in un catalizzatore di cambiamento.
Lo sciopero, in questo scenario, si configura come un monito, un richiamo alla responsabilità sociale che incombe su ogni istituzione culturale.







