La tragedia si è consumata nelle acque internazionali, a poche miglia dalla costa di Lampedusa, durante le operazioni di soccorso a un’imbarcazione precaria, un barcone di circa dieci metri, che trasportava un carico umano di 51 persone in fuga da un futuro incerto.
La scoperta del corpo, di un cittadino proveniente dal Bangladesh, ha gettato un’ombra di dolore e disperazione su un evento già drammatico.
Le cause del decesso, stando alle prime indicazioni emerse, sembrano riconducibili all’inalazione di vapori idrocarburici, un rischio costante per chi intraprende viaggi pericolosi su imbarcazioni inadatte e spesso in condizioni igieniche deplorevoli.
Il racconto dei sopravvissuti, un mosaico di storie provenienti da Egitto, Bangladesh, Eritrea, Etiopia, Siria e Sudan, rivela la fragilità della loro situazione.
Prima dell’intervento dei soccorsi, uno dei loro compagni era precipitato in mare, inghiottito dalle onde senza possibilità di essere recuperato.
La narrazione, intrisa di paura e stanchezza, sottolinea la precarietà della vita a bordo, la costante minaccia di naufragio e la disperazione che spinge queste persone a rischiare tutto per cercare una vita migliore.
L’approdo notturno a Lampedusa ha segnato un momento di sollievo, ma anche di lutto.
La salma è stata affidata alla custodia della camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana, dove un’autopsia cercherà di chiarire definitivamente le circostanze della morte e di fornire elementi utili per le indagini.
Questo episodio si inserisce in un contesto più ampio di arrivi continui sull’isola.
Da mezzanotte, ben 219 migranti, oltre ai 51 soccorsi stamattina, hanno raggiunto Lampedusa, testimoniando l’intensificarsi dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale.
Gli ultimi quattro barconi, provenienti da Sudan, Bangladesh, Egitto, Eritrea, Etiopia e Somalia, portano con sé storie di sofferenza, di speranza e di disperazione, incarnando la complessità di una crisi umanitaria che richiede risposte concrete e sostenibili.
L’hotspot di contrada Imbriacola, al momento, ospita 730 persone, una cifra che mette a dura prova le risorse dell’isola, che si prepara a trasferirne 74 con un traghetto di linea.
La tragedia bengalese, purtroppo, non fa che accentuare l’urgenza di affrontare le cause profonde di questi movimenti migratori e di garantire un’accoglienza dignitosa a chi cerca rifugio in Europa.