L’eco metallico del raschiamento dell’acciaio sulle sbarre, un ritmo ossessivo che si insinua nell’anima, segna l’ingresso nell’ex carcere di San Vito, ad Agrigento.
Non più un luogo di detenzione, ma una metamorfosi stupefacente, un palcoscenico di resilienza artistica e sociale che si fa eco del titolo di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025.
Il recupero di questa struttura, un tempo simbolo di isolamento e sofferenza, si configura come un progetto fondativo, sostenuto dall’impegno congiunto della Farm cultural park e dell’Agenzia del demanio, che ne ha affidato l’uso temporaneo.
La storia di San Vito è complessa e stratificata.
Costruito nel 1432 per volere del beato Matteo Cimarra, ospitò per oltre mezzo secolo i Frati Minori Riformati, custodi di fede e conoscenza.
Nel 1864, la struttura fu adocchiata dallo Stato, trasformandosi in un carcere duro, espressione di un’epoca segnata da rigore e punizione.
Abbandonato a fine anni ’80, il complesso cadde in un torpore di oblio, in attesa di una nuova vocazione.
Oggi, varcare la soglia significa immergersi in un labirinto di memorie: corridoi angusti, cortili claustrofobici, un giardino pensile che sfida la gravità.
Il cortile dell’ora d’aria, un tempo teatro di sguardi spenti e gesti disperati, è stato reinventato come una vasca d’acqua che cattura il cielo, un simbolo di rinascita e speranza.
Foto d’archivio, ricostruzioni digitali dell’antico convento, una foresta urbana che abbraccia un portale barocco secolare: un connubio di arte, tecnologia e natura che celebra la memoria e proietta lo sguardo verso il futuro.
“Countless Cities – La Biennale delle Città del Mondo”, un progetto di Andrea Bartoli e Florinda Sajeva, anima gli spazi con le voci e le storie di Nazareth, Medellin e Haiti, un invito a riflettere sulle sfide che accomunano le comunità globali.
Il progetto Agrigento2025, un’iniziativa plurisoggettiva che coinvolge il Comune, il Parco della Valle dei Templi e la Soprintendenza dei Beni Culturali, non si limita alla riqualificazione di San Vito.
L’ambizione è quella di creare un circuito culturale più ampio, che colleghi il passato e il presente, la città antica e quella moderna.
Il recupero dell’ex auditorium d’Aragona, un’incompiutezza che testimonia le fragilità del territorio siciliano, è un tassello fondamentale di questa visione.
“Crediamo fermamente in questa svolta,” afferma Giuseppe Parello, direttore generale di Agrigento2025.
“Il nostro obiettivo è supportare e far crescere progetti che lascino un’eredità duratura alla città.
” Un nuovo inizio, una riconquista di identità, un impegno a costruire un futuro in cui la cultura sia motore di sviluppo sociale ed economico.
Agrigento Capitale della Cultura non è solo un titolo, ma una promessa: quella di una città che sappia reinventarsi, guardando al passato per costruire un domani più luminoso.
Un luogo in cui la bellezza, l’arte e la creatività siano strumenti potenti per affrontare le sfide del presente e per costruire ponti tra le comunità.
Un luogo in cui il rintocco dell’acciaio sulle sbarre si trasformi in una melodia di speranza.