La recente tragedia di Casteldaccia, dove un cantiere edile è diventato teatro di una perdita inaccettabile di cinque vite umane, ha acceso un dibattito urgente e necessario all’interno della Fillea Cgil Sicilia. In risposta a questo evento devastante e in un contesto segnato dalla presentazione del libro “Operaicidio” di Bruno Giordano e Marco Patucchi, l’assemblea sindacale ha proposto un atto formale: l’utilizzo sistematico del termine “operaicidio” per denotare ogni incidente mortale sul luogo di lavoro.Questa iniziativa, pur consapevole della sua natura simbolica, mira a scardinare una cultura di accettazione e banalizzazione che permea la società italiana in relazione alla sicurezza sul lavoro. Il segretario nazionale della Fillea Cgil, Antonio Di Franco, ha sottolineato la necessità di una profonda rivoluzione culturale, un cambiamento di mentalità che trascenda la retorica e si traduca in azioni concrete. Di Franco evidenzia una grave lacuna nel sistema giudiziario, caratterizzata da processi lentissimi, con tempi di indagine che spesso superano i due anni e una piovra di prescrizioni e assoluzioni che frustrano la ricerca di giustizia per le famiglie delle vittime. La sua proposta di una Procura nazionale specializzata in reati gravi legati alla salute e sicurezza sul lavoro rappresenta una risposta diretta a questa criticità, mirando a garantire un’indagine più rapida, efficiente e competente.Le parole di Di Franco hanno risuonato con il dolore profondo espresso da Monica Garofalo, vedova di Giovanni Gnoffo, una testimonianza commovente che ha riportato al centro del dibattito la realtà quotidiana della perdita e della solitudine che affligge i familiari delle vittime, spesso abbandonati al loro dolore dopo l’attenuarsi dell’interesse mediatico.Il segretario Fillea Cgil Sicilia, Giovanni Pistorio, ha temperato le aspettative sull’efficacia immediata dell’adozione del termine “operaicidio”, riconoscendone però il potenziale impatto sulla percezione collettiva. L’obiettivo non è tanto cambiare la legge, quanto cambiare la narrazione. Troppo spesso, le morti sul lavoro vengono liquidate come “fatalità” o “errori”, celando dietro la statistica la perdita irreparabile di una vita umana, la devastazione di una famiglia e la responsabilità di un sistema che ha fallito. Pistorio insiste: ogni “operaicidio” racchiude una storia, una persona, dei legami affettivi spezzati e una tragedia che, con un adeguato impegno in termini di prevenzione e controllo, avrebbe potuto essere evitata. La scelta del termine “operaicidio” vuole, quindi, riaffermare la gravità di questi eventi, trasformando la “fatalità” in un atto di responsabilità, un’ingiustizia che esige giustizia e un futuro più sicuro per tutti i lavoratori.
Operaicidio: Fillea Cgil chiede giustizia e rivoluzione culturale
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