La realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina continua a sollevare questioni ambientali di notevole complessità, culminando in un nuovo atto di reclamo presentato dall’insieme di associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente, Lipu e Wwf all’Unione Europea.
La vicenda trascende una mera valutazione di impatto ambientale, configurandosi come una potenziale violazione del diritto comunitario e evidenziando un approccio, a loro avviso, strumentale alla realizzazione dell’opera.
L’attuale impasse nasce dalla necessità di superare le resistenze iniziali riguardo all’inevitabile impatto ambientale del progetto.
Questo ha innescato una procedura speciale, formalmente volta a garantire la conformità del Ponte con le normative europee, ma che, secondo le associazioni, è stata disattesa in punti cruciali.
L’elemento centrale della disputa ruota attorno al secondo parere della Commissione VIA-VAS (numero 72/2025), che ha concluso il cosiddetto “livello III della VINCA” (Valutazione d’Incidenza).
Questo livello, imposto dal primo parere (n.
19/2024) che, pur concedendo una compatibilità ambientale condizionata a ben 62 prescrizioni tuttora pendenti, ha reso necessaria questa procedura aggiuntiva.
L’avvio stesso di questa procedura straordinaria, sostengono le associazioni, testimonia l’esistenza di impatti ambientali significativi.
La Commissione VIA-VAS ha dettagliatamente documentato gli effetti negativi che il Ponte produrrebbe, in particolare sui delicati siti Natura 2000.
Per poter autorizzare il progetto nonostante questi impatti, la Commissione ha prescritto un’autorizzazione in deroga, un percorso obbligatorio che impone il rispetto di tre condizioni inderogabili: l’assenza di alternative meno impattanti, la presenza di motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico giustificanti l’intervento, e la predisposizione di misure compensative ambientali adeguate.
Le associazioni ambientaliste contestano fermamente che queste condizioni siano state adempiute.
Ritengono che la dimostrazione della loro sussistenza sia stata deliberatamente distorta, con lo scopo di evitare la richiesta di parere all’Unione Europea.
In particolare, le motivazioni addotte dal governo per giustificare l’opera, che vanno oltre valutazioni economiche contestabili, includono argomentazioni di carattere strategico legate alla sicurezza militare, alla sanità pubblica e alla protezione civile.
L’invocazione di tali ragioni dovrebbe, in teoria, esentare il progetto dalla necessità di un parere comunitario, ma le associazioni lo considerano un mero artificio per aggirare le normative.
L’accusa principale è che l’Italia stia violando le direttive europee Habitat e Uccelli, non avendo correttamente rispettato i criteri previsti dalla procedura di autorizzazione in deroga.
Il reclamo all’Unione Europea è quindi una conseguenza diretta di questa presunta violazione, un tentativo di salvaguardare la biodiversità e l’integrità degli ecosistemi interessati da un’opera che, a loro avviso, presenta più ombre che luci.
Il nodo cruciale risiede quindi nella verifica indipendente da parte dell’Unione Europea, se le argomentazioni addotte dal governo italiano siano sufficientemente solide e se l’opera rispetti i principi fondamentali del diritto ambientale comunitario.