Alberto Stabile, voce autorevole e testimone privilegiato di un’epoca, si è spento a Palermo all’età di 78 anni, lasciando un vuoto nel panorama del giornalismo italiano e nel racconto del complesso mosaico mediorientale.
Nato a Trapani, la sua traiettoria professionale, iniziata nei primi anni Settanta con il ruolo di cronista presso la redazione de *L’Ora*, lo ha condotto a diventare una figura di riferimento per la comprensione delle dinamiche geopolitiche che hanno segnato il Medio Oriente.
La sua esperienza come corrispondente de *La Repubblica* da Beirut, città simbolo di conflitti e di speranze tradite, ha forgiato il suo sguardo acuto e la sua capacità di cogliere le sfumature spesso oscurate dalle semplificazioni mediatiche.
Fu proprio quell’esperienza cruciale a generare *Il giardino e la cenere*, un’opera fondamentale che trascende la mera cronaca per diventare un’indagine antropologica sul conflitto israelo-palestinese.
Il libro, edito da Sellerio, non è un’analisi fredda e distaccata, ma un affresco vivido e commovente costruito attorno alle voci di chi ha vissuto in prima persona la realtà del conflitto.
Stabile ricostruisce la narrazione attraverso le testimonianze di giornalisti, fotografi e operatori televisivi che gravitavano attorno all’American Colony Hotel, un luogo emblematico di incontro e scambio di informazioni per la stampa internazionale.
L’hotel, in un contesto di guerra e di tensioni, diventava uno spazio di riflessione e di condivisione, un crocevia di storie che altrimenti sarebbero rimaste silenziose.
La sua ricerca non si è limitata alla narrazione del conflitto israelo-palestinese; Stabile ha continuato a indagare le radici profonde delle tensioni mediorientali, contribuendo con articoli e approfondimenti per *L’Espresso*.
Ha esplorato le implicazioni politiche, economiche e sociali delle guerre, delineando un quadro complesso e articolato che ha richiesto al lettore una riflessione critica e consapevole.
Oltre al giornalismo, Stabile ha coltivato un forte impegno culturale, organizzando a Favignana, l’isola a cui era profondamente legato, cicli di incontri e spettacoli.
Questa attività dimostra la sua volontà di restituire alla comunità qualcosa di più del semplice racconto dei fatti, promuovendo il dialogo, la conoscenza e la comprensione reciproca.
La sua eredità risiede nella capacità di aver saputo coniugare l’inchiesta giornalistica con un’attenzione profonda all’uomo e al suo contesto storico, un lascito prezioso per le future generazioni di giornalisti e studiosi.
La sua voce, ora spenta, continua a risuonare attraverso le sue opere, invitando a un’analisi lucida e compassionevole delle sfide che ancora oggi affliggono il Medio Oriente.