Il risultato di un possibile esito negativo al referendum sulla riforma della giustizia, qualora si concretizzasse un’alleanza percepita tra il governo e il sistema giudiziario, rappresenterebbe un paradosso politico di notevole portata.
Non si tratterebbe di una vittoria per il centrosinistra, ma, al contrario, un autolesionismo strategico.
Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha espresso queste preoccupazioni durante il ventesimo congresso dell’Unione delle Camere Penali Italiane (Ucpi) a Catania, sottolineando il rischio di perpetuare un modello repubblicano compromesso.
L’affermazione di Nordio evidenzia una tensione profonda nel dibattito sulla riforma, che va al di là della mera contrapposizione tra favorevoli e contrari.
Il punto cruciale è la salvaguardia dell’equilibrio dei poteri, un principio cardine della Costituzione Italiana.
Un’eccessiva influenza, percepita o reale, della magistratura nel processo legislativo e politico, non solo minerebbe la credibilità delle istituzioni democratiche, ma priverebbe la stessa forza politica che promuove la riforma di un elemento fondamentale: l’autonomia decisionale.
La riforma della giustizia, come ogni tentativo di ridisegnare le fondamenta di un sistema, deve essere affrontata con prudenza e una profonda consapevolezza delle implicazioni a lungo termine.
L’obiettivo non è delegittimare la magistratura, garante della legalità e della difesa dei diritti, ma piuttosto definire con precisione i confini della sua azione, assicurando che sia sempre in funzione del bene comune e nel rispetto della separazione dei poteri.
Il rischio, come argomentato dal Ministro, non è solo quello di una “Repubblica sottomessa o condizionata”, un’immagine forte che evoca una perdita di sovranità popolare.
È altresì il rischio di alimentare un circolo vizioso di sfiducia, in cui i cittadini percepiscono le istituzioni come distanti dai loro bisogni e controllate da interessi particolari.
Questo, a sua volta, potrebbe erodere la legittimità del sistema politico nel suo complesso, rendendo più difficile affrontare le sfide del futuro.
L’Ucpi, con la sua lunga tradizione di difesa dei diritti degli imputati e di promozione di un sistema giudiziario equo ed efficiente, rappresenta un interlocutore fondamentale in questo processo di riforma.
Il dibattito aperto a Catania non deve essere interpretato come un attacco alla magistratura, ma come un’opportunità per costruire un consenso ampio e duraturo su un modello di giustizia che sia al servizio della collettività e garante della libertà e della democrazia.
La discussione, quindi, deve essere intesa come un momento di riflessione per tutti gli attori coinvolti, con l’obiettivo di evitare un risultato paradossale che comprometterebbe l’intero progetto di riforma e ne minerebbe la stessa ratio.







