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mercoledì 19 Novembre 2025

Abusi di potere: la Chiesa ferita, un bilancio di sfiducia.

L’erosione della fiducia, il crollo di un’immagine di custodia e protezione: questo è il bilancio, amaro e doloroso, che si presenta quando le relazioni umane vengono violate da abusi di potere e violenze di ogni genere.
Non si tratta semplicemente di azioni riprovevoli, ma di una profonda trasgressione dell’umanità, una ferita aperta che lacera il tessuto sociale e religioso, lasciando cicatrici profonde e spesso invisibili.

Come ha sottolineato Monsignor Ivan Maffeis, arcivescovo di Perugia, in una meditazione solenne ad Assisi, la gravità di queste ferite richiede un’analisi lucida e un impegno concreto, ben al di là della mera condanna.
L’abuso, in qualsiasi sua forma – fisica, psicologica, spirituale – si configura come una negazione della dignità umana, un’aggressione alla fragilità altrui, una distorsione radicale del concetto di cura e protezione.

Le sue ripercussioni si estendono ben oltre la vittima diretta, contaminando i familiari, la comunità e, nel contesto religioso, l’intera fede, generando disorientamento, sfiducia e una profonda crisi di credibilità.

La mera denuncia, la punizione dei colpevoli, pur necessarie, non esauriscono il compito di giustizia e di cura.
È imperativo, dunque, riconoscere la sofferenza delle vittime e dei loro cari come una propria sofferenza, una ferita che tocca il cuore della Chiesa.
Questa presa di coscienza non è un atto di pietà superficiale, ma un presupposto essenziale per ricostruire un rapporto di fiducia e per risanare le fratture.
La Chiesa, in quanto comunità di credenti, è chiamata a confrontarsi con le proprie responsabilità, a decostruire i meccanismi di potere che hanno permesso tali abusi e a mettere in atto misure concrete di prevenzione e di protezione.
L’accoglienza, l’ascolto attivo e l’accompagnamento empatico sono strumenti fondamentali per offrire alle vittime la possibilità di essere ascoltate, credute e di intraprendere un percorso di guarigione.
La ricerca della giustizia non deve essere fine a se stessa, ma parte integrante di un processo più ampio di ricostruzione della dignità e della fiducia.

Parallelamente, è necessario un atto di pietà e di speranza verso coloro che si sono resi responsabili di tali atti aberranti, accompagnandoli, con chiarezza e fermezza, nel difficile percorso della riparazione, della conversione e della presa di coscienza della gravità delle loro azioni.

Questo non implica una giustificazione o una minimizzazione delle loro responsabilità, ma un atto di umanità, nella speranza di un cambiamento radicale e di una possibile redenzione.

La guarigione delle ferite richiede un impegno collettivo, una riflessione profonda e un rinnovato spirito di responsabilità, affinché tali tragedie non si ripetano mai più.

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