L’eco degli appelli per la pace, provenienti dalla Chiesa, sembra affievolirsi, riscontrando una crescente distanza tra l’urgenza morale e l’azione concreta.
Il cardinale Matteo Maria Zuppi, nel suo intervento ad Assisi durante le celebrazioni in onore di Santa Chiara, ha espresso una profonda amarezza, sottolineando come le voci del Papa Francesco e del suo predecessore, Papa Leone, rischino di essere percepite come sussurri provenienti da un’entità separata, quasi estranea alle dinamiche globali.
Questa marginalizzazione è particolarmente dolorosa, dato che si tratta di un grido di sofferenza, di un’invocazione disperata per interrompere la spirale di violenza che, al di là dei confini geografici e delle narrative nazionali, si configura come un’unica, pervasiva guerra mondiale.
Un conflitto composito, alimentato da interessi geopolitici, ideologie contrapposte e disuguaglianze economiche che ne determinano i diversi teatri operativi.
Il cardinale Zuppi ha poi focalizzato l’attenzione sul valore intrinseco della preghiera, smontando la percezione comune che la contemplazione e la riflessione spirituale possano essere interpretate come un disimpegno dal mondo.
Al contrario, egli ha affermato che la preghiera rappresenta un’immersione profonda nella complessità della storia umana, un’occasione per comprendere le radici del male e per coltivare la compassione verso le vittime.
Il chiostro, con la sua quiete e la sua disciplina, non è un rifugio dal mondo, ma una lente d’ingrandimento che permette di osservare la realtà con maggiore chiarezza e di agire con maggiore efficacia.
La preghiera, dunque, non svuota i cuori, ma li riempie di speranza e di coraggio.
Il suo appello si rivolge, inoltre, alla comunità internazionale, esortandola a superare la retorica pacifista e a sviluppare strumenti concreti per la risoluzione dei conflitti.
Non si tratta solo di condannare la guerra, ma di creare le condizioni per la sua impossibilità, promuovendo il dialogo, la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani.
La vera pace richiede un impegno collettivo, una conversione dei cuori e delle menti, un cambiamento profondo nel modo in cui concepiamo le relazioni internazionali.
La sfida è ardua, ma la posta in gioco è troppo alta per permettersi il lusso dell’indifferenza.
L’eredità di Santa Chiara, con il suo esempio di umiltà, di dedizione e di amore per il prossimo, può fornire un’ispirazione preziosa per intraprendere questo cammino difficile ma necessario.