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sabato 1 Novembre 2025

Gaza, un ingegnere palestinese tra speranza e macerie

La fragile quiete si è posata sulla Striscia di Gaza.

Mohamed Almaghary, settantatré anni, ingegnere palestinese sradicato, ne percepisce l’eco con una cautela antica, frutto di decenni di conflitto.
La voce, incrinata dal tempo e dal dolore, vibra di una stabilità che contrasta con l’ombra profonda impressa negli occhi.
Mohamed vive ad Allerona Scalo, un rifugio in Umbria, grazie all’opera della Fondazione Aiutiamoli a Vivere, che gli ha permesso di ricongiungersi con le due figlie, già residenti in Italia.
L’annuncio di un accordo di pace tra Hamas, Israele e l’Autorità Palestinese è un’eco lontana, un barlume di possibilità in una storia costellata di fratture.

Mohamed ripercorre mentalmente le tappe di una vita segnata da guerre, dai conflitti del ’67 e del ’73 all’ascesa di Arafat, fino alla comparsa di Hamas.

“Ho sempre sognato la pace” confessa, “ora credo che sia possibile, perché la volontà collettiva, un concerto di interessi globali – l’Europa, il mondo arabo, l’America – converge verso questo obiettivo.
Quando il peso della volontà si concentra, la sua forza propulsiva è inarrestabile.
”Il pensiero ritorna inevitabilmente a Gaza, un ricordo doloroso.
“La mia casa non esiste più” sussurra, il rammarico affiora come un fiume sotterraneo.

“È ridotta a macerie, come le abitazioni dei miei vicini.
Avevo costruito cinque edifici, uno per ogni figlia, un futuro che si è dissolto in polvere.

” Le figlie, disperse tra tende improvvisate e ospitate da parenti, incarnano la resilienza di un popolo.
“Resistono,” afferma Mohamed, la speranza che danza ancora nei suoi occhi, “spero solo di poter tornare un giorno, di morire dove sono nato, di riposare nella terra dei miei padri.
”Mohamed condivide un ricordo di gioventù, un’epoca in cui il confine tra le identità sembrava meno invalicabile.

“Ero un elettricista, lavoravo in Israele.
Avevo un collega israeliano, un vero fratello.
Andavo a casa sua, cenavamo insieme.

Era un tempo di umanità condivisa.
” Poi, la politica, un fattore corrosivo, ha alterato il panorama.
“Non è l’odio, non è la religione, è la politica che ha avvelenato le persone, che ha eroso il tessuto sociale.

“L’Umbria gli offre una serenità inaspettata, una possibilità di ricostruire.
“Le persone qui sono gentili, ti tendono la mano anche se non ti conoscono.

C’è un calore umano che mi riempie il cuore.

Qui, posso dire che vivo.
” Un ringraziamento silenzioso a Dio sale dalle sue labbra.
La notte, però, è un tormento.

L’ansia lo tiene sveglio, in attesa di una chiamata, un contatto con i familiari rimasti intrappolati nella Striscia.

“Ieri non ho dormito, aspettavo una voce, una parola di conforto.

Oggi mi hanno detto che è finita.
“L’annuncio, per loro, è un’esplosione di gioia, paragonabile a un Natale.
La guerra è cessata.
Mohamed si ferma, fissando il cielo, una preghiera sussurrata: “Almeno spero.

” Perché la speranza non è un lusso, ma un nutrimento vitale, l’ancora che lo tiene saldo in un mondo in continuo movimento, un filo sottile che lo lega al futuro e ai suoi cari.
Senza di essa, l’esistenza stessa si appiattirebbe in un desolato e inerte paesaggio.

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