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Padre in lutto, giustizia negata: l’amara rabbia di Michele Prospero

Il dolore di un padre, un’eco di ingiustizia: la vicenda di Andrea, strappato alla vita a soli 19 anni, si incrina ulteriormente con la proposta di patteggiamento a due anni e mezzo di lavori socialmente utili per l’indagato, accusato di istigazione o aiuto al suicidio.

Le parole di Michele Prospero, il padre di Andrea, riportate dal Messaggero, trascendono il semplice scetticismo, rivelando un profondo senso di tradimento e un’amara riflessione sulla giustizia.

La reazione di Prospero non è frutto di un’impulsività momentanea, ma l’esito di un’aspettativa disattesa, una preparazione emotiva a scenari più attenuanti come l’abbreviato, il patteggiamento stesso o la presentazione di certificati medici che attestino una possibile dipendenza da sostanze.
L’intensità della sua delusione è amplificata dalla consapevolezza che, durante l’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari, l’indagato abbia esercitato il diritto a non rispondere, per poi essere collocato agli arresti domiciliari anziché in custodia cautelare.
La mancanza di un gesto di contrizione, una richiesta di perdono da parte dell’indagato e della sua famiglia, agrava ulteriormente il dolore.

Non si tratta di una mera formalità, ma di un segno di riconoscimento della gravità del gesto compiuto, una pietra miliare sulla strada del lutto e della riconciliazione.
L’assenza di questo atto, secondo Prospero, equivale a un ulteriore, devastante colpo alla memoria del figlio, una seconda morte.

La rabbia del padre si focalizza sulla presunta omissione di soccorso, sull’omessa chiamata di un’ambulanza mentre il figlio si trovava online, un’azione che, a suo dire, potrebbe aver contribuito alla decisione fatale.
Ma la sua amarezza si estende a una più ampia riflessione sulla tenuta del sistema giudiziario, sulla sua capacità di fungere da deterrente per i giovani, di trasmettere un messaggio di responsabilità e giustizia.
Il timore è che una pena così lieve possa comunicare l’impunità, un’idea pericolosa per la coscienza civile.
La famiglia di Andrea contesta l’assenza di un dialogo costruttivo, un tentativo di comprensione reciproca che avrebbe potuto alleviare, seppur minimamente, il peso del dolore.
Questo silenzio, questa mancanza di empatia, vengono percepiti come un insulto alla memoria del ragazzo, una ferita che si riapre costantemente.

Non si tratta di un desiderio di vendetta, sottolinea Prospero, ma di un bisogno impellente di verità e giustizia, di un riconoscimento della gravità della perdita e della sofferenza inflitta.

L’accettazione di una richiesta di patteggiamento così mite significherebbe, a suo dire, una sconfitta per il sistema giudiziario italiano, una rinuncia alla possibilità di punire e arginare la delinquenza, una decisione irrevocabile che priva la famiglia di ogni possibilità di appello e di conforto.
La legge, troppo spesso, si rivela incapace di comprendere, di assimilare la profondità del dolore che deriva dalla perdita di un figlio, un vuoto incolmabile che nessuna sentenza può riempire.

La vicenda di Andrea è, dunque, un monito: un appello a una giustizia più umana, più sensibile al dolore e alla fragilità umana.

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