lunedì 22 Settembre 2025
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Perugia

Tragedia in carcere: una morte e il grido per la giustizia.

Il tragico evento che ha visto spegnersi una giovane vita all’interno del carcere di Perugia non può essere relegato a una semplice cronaca, ma sollecita una profonda riflessione sullo stato del nostro sistema penitenziario e, più in generale, sulla concezione stessa di giustizia.

La perdita di una persona, in particolare di una persona giovane, è una ferita aperta per l’intera comunità, ma assume una gravità ancora maggiore quando si verifica all’interno di un istituto penale, un luogo che dovrebbe incarnare la speranza di redenzione e il percorso verso il reinserimento sociale.
La dichiarazione della Presidente dell’Assemblea Legislativa dell’Umbria, Sarah Bistocchi, esprime con chiarezza l’urgenza di un cambio di paradigma.
Non si tratta di assolutizzare la compassione a detrimento del senso di giustizia, bensì di comprenderne l’intrinseca connessione.

Una giustizia che dimentica l’umanità è una giustizia impoverita, incapace di perseguire il suo scopo più nobile: la ricostruzione della persona.
Il rischio di ridurre i detenuti a “scarti umani” è una distorsione che alimenta l’odio, la diffidenza e l’emarginazione, perpetuando un circolo vizioso di devianza e disperazione.

La pena detentiva, per sua natura, dovrebbe rappresentare un’opportunità di crescita personale e di acquisizione di competenze che consentano al detenuto di ricostruire la propria vita una volta libero.
Tuttavia, questa finalità rieducativa è irrealizzabile in un contesto di sovraffollamento, deprivazione e mancanza di supporto psicologico e sociale.
La situazione dell’Umbria, come quella di molte altre regioni italiane, evidenzia una criticità strutturale che compromette la qualità della vita all’interno degli istituti penali e rende inefficace qualsiasi tentativo di riabilitazione.

L’esigenza di investimenti significativi non si limita alla mera ristrutturazione degli edifici o all’aumento del personale, ma implica un ripensamento profondo delle metodologie di intervento, con un’attenzione particolare al benessere psicologico e alla formazione professionale dei detenuti.

È fondamentale promuovere attività che favoriscano l’autostima, la socializzazione e l’acquisizione di competenze spendibili nel mondo del lavoro, offrendo concrete prospettive di futuro.
Non va inoltre dimenticato il ruolo cruciale svolto dagli operatori penitenziari, figure spesso invisibili e sottoposte a condizioni di lavoro estremamente difficili.

Questi professionisti, quotidianamente a contatto con persone in stato di privazione di libertà, meritano il sostegno e le risorse necessarie per svolgere il loro lavoro in sicurezza, con professionalità e umanità.
Il provveditorato per l’amministrazione penitenziaria ha un ruolo fondamentale da svolgere, ma la responsabilità è collettiva, che richiede l’impegno di istituzioni regionali, nazionali e della società civile.

La tragica morte di una giovane donna non può rimanere un evento isolato.

Deve essere un campanello d’allarme che ci spinga a riflettere sul nostro sistema penitenziario, a investire in programmi di riabilitazione efficaci e a promuovere una cultura della giustizia che sia al tempo stesso severa e compassionevole, orientata alla ricostruzione della persona e al reinserimento sociale.

Solo così potremo onorare la memoria della vittima e costruire un futuro più giusto e umano per tutti.

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