L’evoluzione del panorama mediatico italiano, come recentemente evidenziato dal presidente dell’Agcom, Giacomo Lasorella, durante un convegno a Città di Castello, rivela una trasformazione profonda e complessa.
I dati raccolti dall’Osservatorio sulle comunicazioni dipingono un quadro in cui i modelli tradizionali, come la stampa quotidiana, affrontano un declino accelerato, nonostante la televisione continui a esercitare una certa influenza, seppur relegata a un pubblico in progressivo invecchiamento.
La radio, grazie alla sua fruibilità durante la guida, mantiene una nicchia, ma la vera rivoluzione è guidata dalle nuove generazioni.
Queste ultime, nativi digitali, preferiscono l’informazione online, un ecosistema dominato dai social network e dalle piattaforme digitali.
Questa tendenza, apparentemente positiva per l’innovazione, cela però un rischio sottile: la frammentazione dell’informazione e la creazione di “bolle informative”.
L’algoritmo, progettato per massimizzare l’engagement, offre all’utente contenuti in linea con le sue preferenze preesistenti, limitando l’esposizione a prospettive diverse e alimentando potenzialmente la polarizzazione.
Si crea, in sostanza, un’informazione personalizzata, un “giornale su misura” che rischia di erodere il concetto stesso di dibattito pubblico e di una cittadinanza informata e consapevole.
La riflessione di Lasorella sottolinea la necessità di una risposta normativa a questo scenario in rapida evoluzione.
Gli strumenti europei, come il Digital Services Act (DSA) e l’European Media Freedom Act (EMFA), rappresentano un tentativo di riequilibrare il potere e di tutelare i principi fondamentali del diritto all’informazione e della libertà di stampa.
Il DSA, in particolare, mira a responsabilizzare le piattaforme per i contenuti che veicolano, promuovendo la trasparenza e la moderazione.
L’EMFA, invece, si concentra sulla protezione dei giornalisti e sulla garanzia della pluralità dei media.
Parallelamente, la questione dell’equo compenso per i contenuti editoriali costituisce un nodo cruciale.
Non si tratta di imporre una tassa, ma di instaurare un sistema di condivisione dei ricavi, riconoscendo il valore del lavoro giornalistico e editoriale.
Le piattaforme digitali, infatti, traggono profitto dalla distribuzione e dalla monetizzazione dei contenuti prodotti dai media tradizionali, generando entrate pubblicitarie significative.
Il meccanismo di condivisione, pertanto, mira a garantire una remunerazione equa per chi produce l’informazione, sostenendo la qualità e la sostenibilità del settore.
Questo implica anche una riflessione più ampia sul modello di business dell’informazione, che deve adattarsi alle nuove dinamiche digitali senza compromettere i valori fondamentali del servizio pubblico.
La sfida, quindi, non è solo normativa, ma anche culturale, richiedendo un impegno congiunto di istituzioni, media, piattaforme e utenti per promuovere un ecosistema informativo più sano, pluralista e democratico.







