Il fragile accordo di pace ventilato da Trump e Netanyahu si presenta come un’architettura incompleta, priva di elementi essenziali per una sua reale sostenibilità.
L’assenza dei palestinesi, relegati a ruoli marginali e apparentemente gestiti da figure tecnocratiche, solleva interrogativi profondi sulla sua legittimità e sulla capacità di affrontare le radici del conflitto.
Come ha giustamente sottolineato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, la questione cruciale non è tanto la ricostruzione fisica di Gaza, ma la riparazione delle ferite inflitte alla sua anima.
La devastazione di Gaza, descritta non come una conseguenza casuale di eventi sismici, ma come il risultato di una strategia deliberata volta alla sua distruzione, evidenzia la portata drammatica della situazione.
La prospettiva di una ricostruzione materiale, pur necessaria, non può oscurare la necessità di affrontare le questioni di giustizia e di rispetto dei diritti fondamentali.
La mera assenza di violenza non può essere considerata pace; una pace duratura richiede la possibilità per il popolo palestinese di godere dei propri diritti, di vivere in libertà e dignità, e di accedere alla giustizia.
Le recenti dichiarazioni di Giorgia Meloni, che attribuiscono l’accordo esclusivamente al merito di Trump, minimizzano il ruolo delle mobilitazioni sociali, come le iniziative della Cgil, e ignorano il contributo fondamentale di figure come Francesca Albanese.
Chi possiede una conoscenza profonda della Palestina sa che un’intesa priva di diritti è destinata al fallimento.
L’ammissione che l’attuale situazione, frutto di due anni di devastazione, sia da attribuire a Trump, non implica automaticamente un percorso verso la pace se non si affrontano le cause profonde del conflitto.
Una pace che si fonda solo sull’assenza di combattimenti è un’illusione, un’armonia superficiale destinata a crollare sotto il peso di ingiustizie accumulate.
La Marcia della Pace di Perugia, con la sua partecipazione massiccia e consapevole, rappresenta un segnale di speranza.
L’urgenza percepita, la necessità di esserci con corpo e spirito, testimonia un desiderio profondo di cambiamento.
La vera pace non è semplicemente l’opposto della guerra; è un concetto multidimensionale che abbraccia la prosperità, la giustizia sociale, la libertà di espressione e l’accesso alla giustizia per tutti.
Ogni violazione dei diritti umani, ogni crimine impunito, erode le fondamenta della pace.
La Marcia, in questo senso, non chiede solo la fine dei combattimenti, ma anche il riconoscimento dei diritti, la riparazione delle ingiustizie e la garanzia di un futuro dignitoso per il popolo palestinese.
La richiesta è chiara: chi commette crimini deve rispondere delle proprie azioni, solo così si può costruire una pace vera e duratura.








