La proposta di riclassificazione dei Comuni montani, attualmente all’esame del governo e destinata alla discussione nella Conferenza Unificata, solleva interrogativi profondi e preoccupazioni legittime, che vanno al di là di una semplice revisione burocratica.
Si tratta, per come delineata, di una scelta metodologica e sostanziale che rischia di erodere la coesione territoriale e di danneggiare irreparabilmente intere comunità, con particolare impatto sull’Appennino e sulle aree interne del Paese.
L’analisi di Massimiliano Presciutti, vicepresidente nazionale di Ali-Autonomie locali italiane e rappresentante di un territorio che conosce da vicino le complessità della montagna, mette in luce le criticità intrinseche a questa iniziativa, denunciando una visione riduttiva e miope che ignora la realtà socio-economica delle aree montane.
L’errore fondamentale risiede nella semplificazione eccessiva, che trasforma la montagna in una questione puramente altimetrica e morfologica, deprivandola della sua essenza antropica e culturale.
Si tralascia deliberatamente di considerare la frammentarietà dei servizi essenziali, le difficoltà strutturali nell’accesso ai luoghi più isolati, l’accelerazione dello spopolamento, l’esclusione marginale dal tessuto economico e sociale nazionale.
Questa visione tecnocratica, priva di una reale sensibilità per le specificità locali, si pone in contrasto con decenni di politiche, seppur imperfette, mirate a riconoscere e sostenere le peculiarità dei territori montani.
La proposta ministeriale, lungi dal rafforzare le aree montane, sembra orientata a una contrazione delle risorse e a una riduzione delle platee beneficiarie.
La redistribuzione implicita delle risorse, scaricata sui Comuni e sui bilanci regionali, si presenta come una manovra elusiva, priva di trasparenza e di un dibattito pubblico adeguato.
Si innesca una competizione artificiale tra territori, alimentando la frattura sociale e la polarizzazione tra aree ‘forti’ e aree ‘deboli’, senza una seria valutazione dell’impatto sulla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
Colpire l’Appennino, in particolare, significa compromettere l’anima stessa dell’Italia, un territorio non definibile unicamente in termini di quota o pendenza.
Si tratta di un presidio umano vitale per la cura del territorio, la prevenzione del rischio idrogeologico, la salvaguardia del paesaggio e il mantenimento della coesione sociale.
Escludere centinaia di Comuni dall’accesso a strumenti e risorse dedicate equivale ad accelerare lo spopolamento, a depauperare i servizi essenziali e a rendere irreversibile il declino di aree già profondamente fragili.
Una legislazione efficace sulla montagna deve puntare a rafforzare le comunità che la abitano, investendo in infrastrutture, servizi e opportunità di sviluppo, e non a ridisegnare arbitrariamente confini amministrativi per meri fini di bilancio.
I criteri di classificazione devono essere compositi, integrando dati geografici, indicatori socio-economici, valutazione della qualità e dell’accessibilità dei servizi, condizioni infrastrutturali e dinamiche demografiche.
Una visione più ampia e partecipata è essenziale per garantire un futuro sostenibile per le aree montane, evitando scelte affrettate che alimentano disuguaglianze e compromettono la coesione nazionale.
È imperativo, pertanto, che il governo sospenda l’iter di questa proposta e avvii un confronto aperto e costruttivo con le rappresentanze istituzionali, in un’ottica di responsabilità e rispetto per le comunità che abitano il cuore del nostro Paese.






