mercoledì, 18 Giugno 2025
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Rivolta a Terni: il campanello d’allarme sul sistema penitenziario italiano.

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La recente rivolta nel carcere di Terni ha riacceso il dibattito sulla crisi sistemica che affligge il sistema penitenziario italiano, un tema che il sindaco Stefano Bandecchi ha affrontato con una lucidità a tratti cruda. La sua affermazione, per quanto diretta, non è un’anomalia isolata, ma il sintomo di una profonda malfunzione che permea l’intero apparato.Il nodo centrale della questione non è limitato alla singola struttura di Terni, bensì investe l’intero territorio nazionale. La sovraffollamento è un problema strutturale, con istituti che spesso superano di gran lunga la capienza prevista, generando un ambiente esplosivo, intriso di tensioni e privo delle condizioni minime per una riabilitazione. Questa criticità è esacerbata da un cronico sottoorganico, che penalizza drasticamente la capacità di controllo e di monitoraggio da parte del personale penitenziario, esponendo tutti gli attori coinvolti – detenuti, agenti e operatori socio-sanitari – a rischi crescenti.Tuttavia, la complessità del quadro è ulteriormente amplificata dalla presenza sempre più numerosa di individui affetti da disturbi psichiatrici all’interno delle carceri. Si tratta di persone che, spesso, non hanno ricevuto l’assistenza e il trattamento adeguati nel percorso di cura, e che, una volta reclusi, rappresentano una sfida particolare per il sistema, esigendo un approccio specialistico che l’attuale organizzazione penitenziaria fatica a garantire. Il confinamento in ambienti detentivi, per questi soggetti, può determinare un aggravamento delle condizioni preesistenti, con conseguenze negative sia per loro stessi che per la sicurezza generale.È doveroso, in questa analisi, riconoscere il valore e la dedizione del personale delle forze dell’ordine e degli agenti penitenziari, che, nonostante le carenze strutturali e le condizioni di lavoro estremamente gravose, continuano a svolgere un servizio essenziale, spesso mettendo a repentaglio la propria incolumità per garantire l’ordine e la sicurezza all’interno delle carceri. Un riconoscimento che, purtroppo, non si traduce in un adeguato sostegno economico e professionale, perpetuando un circolo vizioso di sottodimensionamento e demotivazione.La situazione attuale richiede un intervento urgente e radicale, che vada oltre le semplici misure di gestione dell’emergenza. È necessario un ripensamento profondo del modello penitenziario italiano, che ponga al centro la dignità umana, la riabilitazione e l’integrazione sociale. Ciò implica un aumento degli investimenti in risorse umane e infrastrutturali, un rafforzamento dei servizi di salute mentale, la promozione di programmi di formazione professionale e di reinserimento lavorativo, e un maggiore coinvolgimento della società civile. Solo attraverso un approccio globale e multidisciplinare sarà possibile trasformare le carceri da luoghi di esclusione e di sofferenza a spazi di opportunità e di speranza. La denuncia del sindaco Bandecchi, per quanto forte, dovrebbe fungere da campanello d’allarme, sollecitando una riflessione seria e costruttiva su un sistema penitenziario che necessita urgentemente di una profonda riforma.

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