lunedì, 21 Luglio 2025
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Assoluzioni, Nordio e Cartabia: la giustizia italiana a rischio?

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La recente mossa della Procura di Palermo, che ha presentato direttamente in Cassazione un ricorso contro un’assoluzione, e le successive dichiarazioni del Ministro Nordio, hanno innescato un acceso dibattito all’interno della comunità giuridica italiana, focalizzato sull’opportunità di rendere impugnabili le sentenze di assoluzione.
Questa riflessione emerge in un contesto sistemico segnato da una profonda crisi del comparto giustizia, soffocato da un arretrato procedurale di proporzioni allarmanti.

Alfonso Celotto, professore ordinario di Diritto Costituzionale, inquadra la questione non come un problema isolato, ma come sintomo di un sistema malato.

L’ipotesi di eliminare l’appello per le assoluzioni, salvaguardando il ricorso in Cassazione, non è, a suo avviso, una soluzione a sé stante, ma deve essere integrata in un progetto di riforma più ampio e coraggioso.

Un progetto che contempli, imprescindibilmente, una significativa riduzione del numero di reati perseguibili penalmente.
L’argomentazione di Celotto si radica in una lettura attenta del dettato costituzionale, che, paradossalmente, non sancisce il diritto al ricorso in appello come diritto fondamentale.

Questo solleva la possibilità, teoricamente percorribile, di abolire l’appello non solo per le assoluzioni, ma per tutte le sentenze, comprese quelle civili, pur mantenendo la possibilità di un ricorso in Cassazione.

La garanzia del ricorso in appello resta, invece, un pilastro imprescindibile in caso di condanna, tutelando i diritti dell’imputato.
L’utilizzo del termine “scudo”, proposto dal Ministro Nordio, è stato però bollato come potenzialmente fraintendibile.

Celotto preferisce parlare di un percorso che integri l’eliminazione dell’appello per le assoluzioni con una politica deflattiva concreta, finalizzata a ridurre l’ingente numero di reati previsti dal codice penale, attualmente stimato in circa mille.

Questo approccio, lungi dall’essere una manovra elusiva, rappresenterebbe un passo decisivo verso una giustizia più efficiente e, soprattutto, più umana.

È innegabile che la riforma Cartabia, pur ambiziosa, non abbia prodotto gli effetti sperati.
I tempi della giustizia rimangono intollerabilmente lunghi, generando frustrazione e incertezza.

Il tema della separazione delle carriere giudiziarie, pur rilevante, appare come un aspetto secondario rispetto alla necessità impellente di una depenalizzazione radicale.

Una riforma che non si limiti a modificare procedure, ma che attinga a principi di razionalità e di proporzionalità, riducendo al minimo l’intervento del giudice penale e promuovendo, laddove possibile, forme alternative di risoluzione dei conflitti.

Solo in questo modo sarà possibile restituire al sistema giudiziario la credibilità e l’efficacia che gli sono imprescindibili per garantire la certezza del diritto e la tutela dei cittadini.

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