L’inefficienza del sistema giudiziario italiano, percepita come una sorta di ingorgo cronico, trova una delle sue radici più profonde nella pratica, talvolta incontrollata, dell’avvio di procedimenti penali. Questa constatazione, espressa dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio nel contesto del Taormina International Book Festival, evidenzia una problematica che va ben oltre la semplice lentezza dei tempi. Si tratta, infatti, di una questione di merito, di una valutazione preliminare e consapevole della reale necessità di sottoporre un determinato comportamento a giudizio.L’espressione “fare a vanvera” coglie l’essenza di un approccio che, pur nella buona fede di chi lo adotta, rischia di affollare i tribunali con cause che, a una riflessione più approfondita, apparterrebbero a categorie di minore rilevanza o che potrebbero essere risolte attraverso percorsi alternativi. La prosecuzione indiscriminata di procedimenti, spesso motivata da pressioni esterne o da un’eccessiva prudenza, comporta un drenaggio di risorse umane ed economiche che andrebbero destinate a casi di maggiore complessità e impatto sociale.La proposta del Ministro Nordio, ovvero quella di una “selezione rigorosa dei reati da portare a processo”, rappresenta un invito a recuperare un principio fondamentale del diritto penale: il principio di proporzionalità. Questo principio impone che la risposta sanzionatoria sia adeguata alla gravità del fatto commesso e che si eviti, per quanto possibile, di ricorrere all’inerzia del processo penale per questioni che potrebbero essere gestite con strumenti più agili e meno onerosi.L’implementazione di tale selezione rigorosa implica una revisione delle prassi investigative e prosecutoriali. È necessario che la valutazione preliminare dei casi sia affidata a professionisti competenti e indipendenti, capaci di soppesare attentamente i pro e i contro dell’avvio di un procedimento penale, tenendo conto non solo della gravità del fatto, ma anche della sua complessità, delle prove disponibili e delle possibili alternative alla via giudiziaria.Si potrebbe, ad esempio, favorire l’utilizzo di misure di giustizia riparativa, che promuovono la riconciliazione tra vittima e reo e consentono di risolvere il conflitto in modo costruttivo, evitando il ricorso al processo. Oppure, si potrebbero introdurre sistemi di mediazione penale, che permettono alle parti di raggiungere un accordo transattivo sotto la supervisione di un mediatore qualificato.La riforma non si limita, quindi, a una mera valutazione a priori dei casi, ma richiede un ripensamento profondo del ruolo del pubblico ministero e dei criteri che lo guidano nell’esercizio della sua funzione. È necessario promuovere una cultura della responsabilità e della prudenza, che incoraggi i professionisti a valutare attentamente le conseguenze delle loro azioni e a privilegiare soluzioni alternative al processo penale quando queste si rivelano appropriate.La digitalizzazione del sistema giudiziario, l’ottimizzazione dei tempi processuali e la formazione continua dei professionisti sono elementi complementari a questa riforma, che mira a rendere la giustizia più efficiente, più equa e più accessibile a tutti i cittadini. Solo attraverso un approccio olistico e multidisciplinare sarà possibile sbloccare l’ingorgo del sistema giudiziario e restituire alla giustizia la sua credibilità e la sua efficacia.