L’impegno del governo Meloni a raggiungere la soglia del 2% del PIL dedicato alla difesa, spinta ora al 5% come linea guida strategica, rappresenta un punto di svolta nelle politiche di sicurezza nazionale italiane, innescando un acceso dibattito politico e sollevando interrogativi sull’allocazione delle risorse pubbliche. La retorica ufficiale, incentrata sulla “sovranità” e sulla necessità di un’Italia “più forte” nel contesto internazionale, contrasta con le preoccupazioni sollevate dall’opposizione e da settori della Lega, che lamentano un potenziale sacrificio di investimenti nel welfare state.La presidente del Consiglio ha vigorosamente negato qualsiasi deviazione di fondi destinati a servizi essenziali, dipingendo l’incremento della spesa militare come un investimento strategico a favore della sicurezza nazionale, e un’espressione di un approccio “italiano” alla difesa, fondato sulla flessibilità e sulla prudenza. Questo approccio, secondo Meloni, si discosta da una visione più rigida e coercitiva, consentendo all’Italia di perseguire obiettivi di difesa in linea con le proprie capacità e priorità. La promessa di non attivare la clausola di salvaguardia nel 2026, in risposta alle pressioni europee, rafforza l’immagine di un governo che agisce con autonomia e determinazione.Tuttavia, l’aumento significativo della spesa militare pone la questione di una ridefinizione delle priorità nazionali. L’incremento del 3% rispetto al 2% attuale, sebbene presentato come un investimento, comporta inevitabili conseguenze sulla disponibilità di risorse per altri settori cruciali come sanità, istruzione e assistenza sociale. La retorica del “tesoretto” accumulato nel tempo, utilizzata per giustificare l’operazione, rischia di oscurare la necessità di scelte difficili e di un dibattito più ampio sulla sostenibilità di un simile impegno finanziario nel lungo periodo.Il vertice dell’Aia, come sottolineato, ha assunto una forte connotazione “Trumpiana”, riflettendo l’incertezza geopolitica e le dinamiche crescenti di potere nell’ambito della cooperazione transatlantica. L’atteggiamento del presidente americano, con le sue richieste di maggiore contributo finanziario da parte degli alleati europei, ha inevitabilmente influenzato le dinamiche del vertice e ha posto l’Italia di fronte a una scelta cruciale: aderire a una linea di politica estera più assertiva, o mantenere una posizione più cauta e orientata alla salvaguardia dei propri interessi nazionali. L’impegno a raggiungere il 5% del PIL per la difesa può essere interpretato come una risposta a queste pressioni, ma anche come un segnale di una ridefinizione del ruolo dell’Italia nel panorama internazionale, con implicazioni profonde per il suo futuro politico ed economico.