L’incremento allarmante dei decessi per suicidio all’interno del sistema penitenziario italiano costituisce una ferita aperta nel tessuto sociale, un’emergenza complessa che esige un’analisi approfondita e interventi urgenti. Non si tratta di un mero fenomeno statistico, ma di un fallimento strutturale che riflette debolezze profonde nel modo in cui la nostra società accoglie, supporta e riabilita chi ha commesso reati.La dichiarazione del Presidente della Repubblica, rivolta al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e alla Polizia Penitenziaria, non è un atto formale, ma un appello pressante alla responsabilità condivisa. Riconosce implicitamente la necessità di un cambio di paradigma, un superamento di approcci restrittivi e punitivi a favore di un modello incentrato sulla riabilitazione, sulla salute mentale e sulla dignità umana. La Costituzione italiana, con i suoi principi fondativi di umanità, di risocializzazione e di tutela dei diritti fondamentali, impone un obbligo morale e giuridico di agire. Le carceri, lungi dall’essere semplici luoghi di detenzione, dovrebbero rappresentare spazi di formazione, di crescita personale e di preparazione al reinserimento nella comunità. La Polizia Penitenziaria, in particolare, svolge un ruolo cruciale in questo contesto. Il suo compito non si limita alla sicurezza, ma include la capacità di osservare, di ascoltare, di comprendere le fragilità dei detenuti e di segnalare situazioni di rischio. Un lavoro che richiede competenze specifiche, risorse adeguate e un costante aggiornamento professionale. È imperativo fornire loro gli strumenti necessari per affrontare le sfide sempre più complesse che si presentano quotidianamente.L’aumento dei suicidi è sintomatico di una serie di fattori interconnessi: sovraffollamento carcerario, condizioni igienico-sanitarie precarie, isolamento sociale, mancanza di opportunità formative e lavorative, difficoltà di accesso a servizi di salute mentale. Occorre affrontare questi problemi in modo sistematico e integrato, coinvolgendo non solo il Ministero della Giustizia, ma anche le Regioni, gli enti locali, le associazioni del terzo settore e i professionisti della salute.È essenziale promuovere la collaborazione tra gli operatori penitenziari e i servizi territoriali, per garantire una continuità di cura e un supporto adeguato anche dopo la scarcerazione. Servono progetti di mediazione sociale, di reinserimento lavorativo e di sostegno alla famiglia, per favorire un percorso di ricostruzione personale e prevenire il rischio di recidiva.La dignità umana, anche di chi ha commesso errori, è un valore inviolabile che deve guidare ogni azione. Il silenzio e l’inerzia non sono più ammissibili. È tempo di un impegno concreto e condiviso per trasformare le carceri da luoghi di sofferenza a spazi di speranza e di riscatto. Onorare la memoria di chi non ce l’ha fatta significa agire con coraggio e determinazione per costruire un sistema penitenziario più umano e più giusto.