La tenuta del rapporto all’interno della Lega è appesa a un delicato equilibrio, con un’ombra di incertezza che si fa sentire in vista dell’appuntamento di Pontida.
A esprimere preoccupazione, in un’intervista rilasciata a La Stampa, è Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato e senatore del partito, il quale sottolinea l’urgenza di un confronto diretto con Roberto Vannacci, figura controversa entrata in Parlamento europeo con un consenso notevole.
L’auspicio di Centinaio non è tanto un semplice chiarimento, quanto un’occasione per Vannacci di interiorizzare e rispettare i principi cardine che regolano l’organizzazione e la leadership della Lega.
La prospettiva è chiara: se Vannacci percepisce un’incompatibilità strutturale con le linee guida del partito, la soluzione più costruttiva sarebbe quella di perseguire una propria strada, fondando un movimento autonomo.
L’intervista si spinge oltre, sollevando una questione sottintesa ma significativa: l’impressione che Vannacci stia tentando di erodere l’autorità di Matteo Salvini, il segretario del partito.
L’atteggiamento del generale, secondo Centinaio, si configura come quello di un leader di un partito parallelo all’interno della Lega, un comportamento inaccettabile per chi, pur avendo ottenuto un ampio mandato popolare, è entrato in una struttura politica preesistente, gerarchicamente definita.
La riflessione di Centinaio pone un dilemma cruciale: per essere pienamente integrato e riconosciuto all’interno della Lega, non è Salvini che dovrebbe adeguarsi a Vannacci, bensì il generale che dovrebbe assumere un atteggiamento coerente con le dinamiche interne del partito, adottando un approccio che rispecchi la leadership di Salvini.
In altre parole, Vannacci dovrebbe, in termini di stile e di comportamento, allinearsi ai principi e alle pratiche che caratterizzano l’azione di Salvini.
Questa affermazione, esplicita e diretta, evidenzia la necessità per Vannacci di comprendere appieno il ruolo che gli è stato attribuito all’interno della Lega e di agire di conseguenza, contribuendo alla coesione e alla stabilità del partito piuttosto che cercare di sovvertire l’ordine costituito.
La questione non riguarda tanto il dissenso o la critica costruttiva, quanto il rispetto delle regole di un’organizzazione politica e la deferenza nei confronti di chi ne è legittimamente a capo.