venerdì 22 Agosto 2025
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Leoncavallo: Raid, Diversivo e un’Italia a Doppio Standard

Il raid al Leoncavallo, mediatico e pervasivo, solleva interrogativi che vanno ben oltre la mera questione della sicurezza urbana.
Si configura, per alcuni osservatori, come un’abile operazione di diversivo, un artificio volto a distogliere l’attenzione pubblica da problematiche strutturali più ampie e complesse.
La retorica che accompagna l’azione, centrata sull’incompatibilità di “zone franche” con la legalità, si presenta come una replica quasi identica a quella espressa dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ma applicata con una duplice faccia.

La coincidenza lessicale, in particolare, spinge a una riflessione critica: se la stessa linea interpretativa venisse applicata alla scena internazionale, si evidenzierebbe un’incongruenza preoccupante.
Come si concilia l’affermazione di un ordine legale interno con il silenzio, o la mancanza di condanna, riguardo a violazioni del diritto internazionale perpetrate in territori come Gaza e la Cisgiordania, dove l’occupazione militare israeliana continua a espandersi? La retorica applicata in un contesto e disattesa nell’altro suggerisce una selettività ideologica che mina la credibilità stessa del discorso sulla legalità.
La battuta del senatore Filippo Sensi, “Matematico: quando stanno nelle peste, torna la ruspa”, cattura con pungente efficacia l’amara percezione di un meccanismo ricorrente.

Non si tratta di una semplice constatazione di violenza, ma di una denuncia di un modello in cui l’emergere di problematiche sociali complesse e marginalizzate viene sistematicamente affrontato con misure repressive e di sgombero, piuttosto che con interventi mirati alla risoluzione delle cause profonde.

L’episodio del Leoncavallo, quindi, non può essere isolato; esso si inserisce in un quadro più ampio di gestione della complessità sociale attraverso l’uso della forza e della comunicazione mirata, celando spesso la mancanza di soluzioni concrete e durature.

La vera sfida, per una società che aspira alla giustizia e all’equità, non è quella di eliminare presunte “zone franche”, ma di affrontare le disuguaglianze, le esclusioni e le ragioni profonde che spingono individui e comunità a cercare spazi di resistenza e di espressione al di fuori delle strutture convenzionali.
La domanda cruciale, dunque, resta: stiamo affrontando i problemi veri o semplicemente ripulendo il campo per poi ripresentare le stesse domande in futuro?

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