L’episodio di Pomezia, con la sua eco di violenza inaudita, non può essere relegato alla cronaca nera per poi dimenticare le implicazioni più ampie che solleva.
Sigfrido Ranucci, di fronte all’assemblea dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha espresso un rifiuto netto a qualsiasi compromesso che implichi un ritiro delle querele intentate a suo carico, una posizione condivisa con forza, a differenza di quanto proposto da Francesco Storace e supportata da parte del Campo Largo.
La sua risposta va al di là della difesa personale; è un appello a un sistema giuridico più equo, un baluardo contro l’uso strumentale della magistratura.
Ranucci non ricerca un’assoluzione attraverso l’abdicazione, ma una vittoria ottenuta sulla base della validità del suo lavoro giornalistico, una vittoria che dimostri la necessità di proteggere la libertà di stampa e il diritto all’informazione.
L’idea di una vittoria per esclusione, per mancanza di risorse o di volontà da parte degli avversari, è inaccettabile.
Il suo intervento ha riaperto, con urgenza, il dibattito sulla cruciale approvazione della legge sulle liti temerarie, uno strumento essenziale per punire coloro che, in posizione di potere, utilizzano le denunce come arma di intimidazione e censura.
Questa legge dovrebbe imporre sanzioni significative, un costo economico elevato, per chi, sapendo di denunciare un giornalista in buona fede e con informazioni verificate, cerca di bloccarne l’attività e ostacolare l’accesso all’informazione.
Il danno arrecato non è solo personale, ma colpisce l’intero tessuto democratico.
Il messaggio di solidarietà ricevuto dalla piazza della Cgil ha amplificato il suo appello, un riconoscimento del ruolo fondamentale del giornalismo indipendente come pilastro della società civile.
L’attentato subito non è solo un atto di violenza fisica, ma un attacco alla verità e alla libertà di espressione, un monito a non cedere alla paura e a continuare a svolgere il proprio dovere con coraggio e determinazione.
La protezione dei giornalisti, soprattutto quelli impegnati nell’inchiesta e nel racconto di verità scomode, è un imperativo etico e una garanzia per la salute della democrazia.







