La riforma della giustizia, al suo cruciale punto di approvazione parlamentare, innesca una nuova fase di contrasto politico, con il centrodestra che proietta la propria strategia sul terreno del voto popolare.
Forza Italia, tramite la voce del suo esponente Maurizio Gasparri, si pone come paladina di un referendum abrogativo, delineando un percorso accelerato attraverso l’individuazione di figure chiave come Enrico Costa e Pierantonio Zanettin, destinati a guidare i comitati promotori del “sì”.
L’obiettivo è agire con tempestività, avvalendosi del sostegno di un quinto dei parlamentari per innescare la consultazione, pur non escludendo l’utilizzo di ulteriori strumenti di mobilitazione, come la raccolta di cinquecentomila firme tra gli elettori o il coinvolgimento di consigli regionali, decisioni rimandate ad un successivo esame dei vertici della coalizione.
La cautela esibita da Fratelli d’Italia, guidata da Giovanni Donzelli, testimonia una lezione appresa dall’esperienza di Matteo Renzi: evitare una personalizzazione eccessiva del referendum, volto a misurare l’opinione degli italiani sulla riforma in sé, trasceso la figura del governo.
Donzelli sottolinea la necessità di un voto che abbracci anche coloro che nutrono riserve nei confronti della leadership esecutiva, focalizzandosi sulla valutazione dell’efficacia e della necessità di una giustizia riformata.
L’opposizione, lungi dall’essere spettatrice, risponde con una propria strategia referendaria, annunciando una vasta mobilitazione nazionale a sostegno del “no”.
Angelo Bonelli, esponente delle forze di opposizione, accusa la maggioranza di intenti autoritari, sostenendo che l’obiettivo della riforma sia un controllo politico sulla magistratura e manifestando fiducia nella vittoria del fronte contrario.
L’escalation referendaria apre un dibattito più ampio sulla natura del potere giudiziario e i suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato.
La riforma stessa, al di là dei dettagli tecnici, si configura come un tentativo di ridefinire l’equilibrio istituzionale, innescando un confronto ideologico che coinvolge l’intero Paese.
La consultazione popolare, lungi dall’essere un semplice strumento di controllo, si preannuncia come un banco di prova per la tenuta del sistema democratico e la sua capacità di gestire le tensioni tra i diversi attori politici e sociali.
Il futuro della giustizia italiana, e forse anche quello del suo sistema politico, si gioca ora tra i proclami e le mobilitazioni, in attesa del verdetto degli elettori.






