giovedì 7 Agosto 2025
27.2 C
Rome

Stato di necessità: il caso Almasri tra sicurezza e diritti.

La vicenda Almasri solleva questioni di diritto costituzionale di notevole complessità, con l’esecutivo che, di fronte alle accuse emerse dall’inchiesta giudiziaria, invoca la legittimazione derivante dallo stato di necessità per giustificare le azioni compiute dai suoi rappresentanti.

La difesa, articolata attraverso l’avvocato Giulia Bongiorno dopo l’accesso agli atti, si concentra sull’affermazione che le azioni intraprese dai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e dal sottosegretario Alfredo Mantovano, soggetti a richiesta di autorizzazione a procedere, sarebbero state compiute nell’esclusivo perseguimento dell’interesse superiore dello Stato.

L’invocazione dello stato di necessità, disciplinato dall’articolo 54 del codice penale, non costituisce un mero “scudo” difensivo, ma implica una valutazione rigorosa e complessa.
Perché una condotta, altrimenti illegale, possa essere giustificata in tali circostanze, è necessario che sussistano requisiti stringenti: un pericolo attuale di un danno grave e inevitabile alla collettività, l’impossibilità di fronteggiare tale pericolo con mezzi meno pregiudizievoli e una proporzionalità tra l’azione intrapresa e il pericolo da evitare.

Nel contesto specifico della vicenda Almasri, il governo sostiene che il rimpatrio del generale libico, nonostante le preoccupazioni sollevate in merito al rischio di violazione dei diritti umani e di potenziale esposizione a torture, fosse l’unica azione praticabile per scongiurare un pericolo di rilevanza nazionale, presumibilmente legato a dinamiche di sicurezza internazionale e alla stabilità della regione.
L’esecutivo, implicitamente, afferma che l’alternativa – non procedere al rimpatrio – avrebbe comportato un rischio inaccettabile per la sicurezza nazionale, un rischio che riteneva, sulla base delle informazioni a sua disposizione, più grave di quello connesso alla potenziale violazione dei diritti del rimpatriato.

Tuttavia, l’utilizzo dello stato di necessità come giustificazione legale di un’azione che altrimenti sarebbe considerata illegale, richiede una verifica particolarmente attenta da parte dell’autorità giudiziaria.
È fondamentale accertare non solo la sussistenza del pericolo invocato, ma anche la correttezza e la completezza delle informazioni su cui si è basata la decisione di agire, nonché la reale impossibilità di adottare misure alternative meno lesive.

La proporzionalità dell’azione intrapresa deve essere valutata in relazione alla gravità del pericolo scongiurato e al pregiudizio arrecato.

La vicenda solleva, pertanto, interrogativi profondi sul delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e tutela dei diritti fondamentali, sulla discrezionalità di azione dell’esecutivo in situazioni di emergenza e sulla responsabilità del potere giudiziario nel controllo dell’operato del governo.

La decisione dell’autorità giudiziaria, in merito all’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri, avrà implicazioni significative non solo per i singoli individui coinvolti, ma anche per la definizione dei limiti e delle responsabilità del potere esecutivo in situazioni di presunta necessità.

La questione centrale non è tanto se il rimpatrio fosse giusto o sbagliato in sé, ma se la giustificazione addotta – lo stato di necessità – sia sufficientemente fondata e proporzionata per escludere la responsabilità dei funzionari governativi.

- pubblicità -
- pubblicità -
- pubblicità -
- pubblicità -