La discussione sulla legge riguardante il suicidio medicalmente assistito continua ad animare la seconda commissione consiliare sarda (Salute), dopo una prima fase di assensi. L’esame del testo, elaborato sulla base della proposta dell’associazione Coscioni, ha visto oggi l’intervento di voci contrarie, portando alla luce complesse riflessioni etiche, giuridiche e sociali.Ad aprire il confronto, in collegamento da remoto, sono stati Antonio Brandi, rappresentante dell’associazione ProVita e Famiglia, e Giulia Bovassi, esperta di Bioetica proveniente dall’Università del Messico. Entrambi hanno espresso riserve significative nei confronti di una legislazione che, a loro avviso, affonda le sue radici in un’interpretazione specifica di una sentenza della Corte Costituzionale, la quale, pur riconoscendo la necessità di un intervento legislativo, non ha sancito un diritto incondizionato alla morte assistita.Brandi ha invitato i membri della commissione a un’analisi comparativa con le realtà internazionali che hanno già introdotto il suicidio assistito, evidenziando come in alcuni contesti, come l’Olanda, si verifichino pratiche che aggirano i requisiti di consenso. Ha inoltre contestato l’idea di un “vuoto normativo” da colmare con la morte, suggerendo che il ruolo primario della legislazione dovrebbe essere quello di promuovere e tutelare la vita.Il rappresentante di ProVita ha sollevato la questione della “medicalizzazione” della sofferenza, sostenendo che la legge rischia di focalizzarsi sull’eliminazione del paziente sofferente piuttosto che sulla gestione e lenizione del dolore stesso. Ha ribadito la necessità di una piena applicazione della legge 38/2021, volta a garantire l’accesso a cure palliative e terapia del dolore come risposta primaria alla sofferenza, promuovendo una migliore qualità della vita per i pazienti in fase avanzata di malattia, indipendentemente dalla loro natura oncologica o meno.Giulia Bovassi ha precisato che la sentenza della Corte Costituzionale non ha riconosciuto un diritto alla morte, bensì ha circoscritto le condizioni essenziali che permettono di derogare alle norme esistenti in casi eccezionali. Ha criticato la proposta di legge regionale per aver ampliato eccessivamente il concetto, creando la possibilità per la Regione di garantire assistenza a chiunque intenda richiedere il suicidio medicalmente assistito. Bovassi ha sottolineato che il vero problema risiede nell’abbandono terapeutico, non nell’accanimento terapeutico, e ha ricordato il diritto del paziente di rifiutare una terapia, ma non di sottrarsi alla cura, intesa come un percorso di assistenza e sostegno alla persona nella sua interezza. La cura, a suo dire, deve rimanere l’obiettivo primario, un approccio olistico che consideri non solo l’aspetto fisico, ma anche quello emotivo, psicologico e spirituale del paziente.