L’appuntamento a Potenza, incentrato sulla memoria di Antonio Luongo, si è rivelato un’occasione per riflettere sulla carenza di una politica autentica, quella con la “P” maiuscola, un sentimento espresso con lucidità da Massimo D’Alema.
L’omaggio all’ex parlamentare, scomparso prematuramente nel 2015, trascende il cordoglio personale, elevandosi a monito e a invito a riscoprire valori perduti nel panorama politico contemporaneo.
Luongo, figura chiave nella Basilicata, incarna un modello di politico che sembra appartenere a un’epoca remota.
Oreste Lo Pomo, compagno di scuola e testimone diretto del suo impegno, ha portato alla luce la sua profonda connessione con la terra lucana e la sua capacità di rappresentarne l’identità più autentica.
La sua figura si pone come ponte ideale tra le eredità ideologiche del comunismo e della democrazia cristiana, un’armonizzazione rara e preziosa in un’epoca segnata da polarizzazioni sempre più accentuate.
L’ex Presidente del Consiglio ha sottolineato come Luongo possedesse le qualità che definirono le grandi forze politiche della Prima Repubblica: una pazienza granitica, la capacità di persuadere attraverso il dialogo e non attraverso la contrapposizione, un’abilità innata nel creare convergenze e, soprattutto, una visione del futuro radicata nella concretezza dei bisogni della comunità.
Queste caratteristiche, oggi spesso sacrificate sull’altare della velocità e della comunicazione superficiale, rappresentano un patrimonio da riscoprire e valorizzare.
La memoria di Luongo si configura, quindi, non solo come un ricordo affettuoso di un uomo di valore, ma anche come un’occasione per interrogarsi sul ruolo della politica nella società contemporanea.
In un periodo di transizione delicato, tra le certezze del passato e le incertezze del futuro, la sua esperienza ci invita a recuperare la dimensione umana della politica, a riscoprire il valore del dialogo e della collaborazione, e a ricostruire un’idea di bene comune che vada al di là degli interessi particolari.
La sua eredità è un seme da coltivare, un invito a tornare a fare politica con responsabilità, passione e, soprattutto, con l’amore per la propria terra e per il bene dei propri concittadini.
È un monito a superare le derive individualistiche e a riscoprire il senso profondo del servizio pubblico, volto al progresso sociale e alla giustizia.






