Il Consiglio regionale della Basilicata si è trovato al centro di un acceso dibattito riguardante una modifica al Collegato finanziario alla Legge di stabilità, incentrata sul sistema pensionistico dei consiglieri regionali.
La discussione ha polarizzato le forze politiche, contrapponendo la visione della maggioranza di centrodestra, che la definisce un atto di modernizzazione e trasparenza, a quella della minoranza di centrosinistra, che la interpreta come un ripristino di privilegi per la classe politica.
La maggioranza ha sostenuto che l’emendamento, approvato a seguito di un’attenta analisi e in linea con la legislazione nazionale, mira a colmare una lacuna normativa che ha storicamente afflitto la regione.
La nuova formulazione, infatti, esclude l’automatismo nell’erogazione delle prestazioni previdenziali, introducendo criteri oggettivi e trasparenti.
La contribuzione, ora, sarà calcolata esclusivamente sulla base delle quote effettivamente versate individualmente e volontariamente da ciascun consigliere.
Si tratta di un adeguamento necessario per allineare la Basilicata agli standard previsti in altre regioni italiane e per conformarsi alle normative nazionali, abbandonando pratiche potenzialmente discriminatorie e favorendo un sistema più equo e contemporaneo.
L’obiettivo, secondo i proponenti, è quello di eliminare ambiguità e potenziali abusi, garantendo una gestione più responsabile delle risorse pubbliche.
La minoranza, guidata dal vicepresidente del Consiglio regionale, Angelo Chiorazzo, ha reagito con veemenza, denunciando un atto che definisce uno “schiaffo alla Basilicata reale”.
L’opposizione critica l’azione della maggioranza, accusandola di agire in maniera contraria ai principi di giustizia sociale, rubando risorse ai più deboli per destinare benefici alla classe politica.
In un contesto economico segnato da crisi occupazionale, precarietà e crescente povertà, la decisione di occuparsi dei vitalizi dei consiglieri è percepita come una priorità distorta e inaccettabile.
Gli esponenti del Movimento 5 Stelle, Alessia Araneo e Viviana Verri, hanno ulteriormente rafforzato questa critica, sottolineando come una classe dirigente responsabile dovrebbe concentrarsi primariamente sulle esigenze dei cittadini più vulnerabili, relegando le proprie necessità al secondo piano.
La loro analisi evidenzia una profonda frattura nella concezione del ruolo della politica: una classe dirigente degna di tal nome si pone al servizio della collettività, anziché farsi carico del proprio futuro previdenziale.
L’azione della maggioranza, a loro avviso, non solo è moralmente discutibile, ma rivela una preoccupazione prioritaria per la tutela del proprio status, a scapito del bene comune e della lotta contro le disuguaglianze sociali.
La vicenda, dunque, solleva interrogativi più ampi sulla rappresentatività e sulla responsabilità dei rappresentanti politici, e sulla loro capacità di rispondere alle reali esigenze del territorio.






