La Liguria, regione dalla bellezza aspra e vulnerabile, emerge come un caso emblematico nella discussione nazionale sulla fragilità del territorio italiano.
I dati forniti all’attenzione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico, in un’audizione presso la Prefettura di Genova, dipingono un quadro allarmante: ben 13.507 aree franose sono state censite dall’Inventario dei Fenomeni Franosi Italiani (IFFI), un numero che testimonia una profonda e diffusa instabilità geomorfologica.
Questa densità di fenomeni franosi non è una casualità, ma il risultato di una complessa interazione di fattori naturali e antropici.
La geologia della Liguria, caratterizzata da forti pendii, rocce alterate e una tettonica attiva, predispone il territorio a movimenti di massa.
A ciò si aggiungono secoli di interventi umani, spesso non sostenibili, come l’urbanizzazione spregardosa dei limiti imposti dal territorio, la costruzione di infrastrutture inadeguate e lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali.
La distribuzione geografica delle aree franose riflette questa vulnerabilità: la provincia di Genova, con 6.030 aree, si distingue come la più colpita, seguita da Imperia (2.464), La Spezia (2.742) e Savona (2.271).
Questo dato è particolarmente significativo se contestualizzato con la concentrazione demografica e l’importanza economica di queste aree, dove la convivenza tra popolazione e rischio naturale rappresenta una sfida costante.
L’analisi degli eventi alluvionali dal 1970 al 2018, presentata dai Carabinieri Forestali, fornisce una cronologia di emergenze che evidenzia l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi.
Le indagini giudiziarie avviate a partire dal 2018, focalizzate sui crolli delle dighe di Rapallo e Santa Margherita, causati da una mareggiata eccezionale, e sul crollo del cimitero di Camogli, mettono in luce criticità strutturali e lacune nella manutenzione e nella vigilanza delle infrastrutture.
Questi eventi, purtroppo, non sono isolati, ma si inseriscono in un contesto più ampio di frane, smottamenti e dissesti che affliggono il territorio genovese e ligure.
Un aspetto particolarmente preoccupante sollevato durante l’audizione riguarda le cave della Valfontanabuona.
L’accumulo di materiale di scarto non correttamente smaltito rappresenta un fattore aggravante per l’instabilità idrogeologica, generando fenomeni di erosione e frane a seguito di eventi piovosi.
Questo caso specifico sottolinea come le attività estrattive, se non gestite in modo sostenibile, possano avere impatti negativi e duraturi sull’ambiente e sulla sicurezza delle comunità.
In definitiva, la situazione della Liguria rappresenta un campanello d’allarme per l’intero paese.
È necessario un cambio di paradigma, che promuova una gestione del territorio basata sulla prevenzione, sulla sostenibilità e sulla consapevolezza dei limiti imposti dalla natura.
Ciò implica un rafforzamento della ricerca scientifica, un miglioramento della pianificazione territoriale, un potenziamento dei sistemi di monitoraggio e allerta precoce, e una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni ai cittadini.
Solo così sarà possibile ridurre il rischio idrogeologico e garantire un futuro sicuro e prospero per la Liguria e per l’Italia intera.







