Un fiume di volti, circa mille persone, ha attraversato La Spezia in una vibrante manifestazione promossa dalla CGIL, un atto di profonda solidarietà nei confronti del popolo palestinese e un monito urgente per la comunità internazionale.
Il corteo, un’onda di bandiere palestinesi che ha inondato Corso Cavour fino a Palazzo Civico, ha rappresentato una voce collettiva che reclama giustizia, dignità e un futuro di pace per una popolazione martoriata.
La manifestazione si è posta a sostegno della missione umanitaria “Global Sumud Flotilla”, un’iniziativa coraggiosa che, con mezzi civili, sfida il blocco imposto alla Striscia di Gaza, un’azione che simboleggia la determinazione a superare l’indifferenza e l’immobilismo.
L’impegno della Flotilla non è solo un gesto di aiuto materiale, ma un atto di resistenza pacifica che mira a denunciare le conseguenze devastanti di un conflitto prolungato e a promuovere il rispetto del diritto internazionale.
Luca Comiti, segretario provinciale della CGIL, ha sottolineato l’imperativo morale e costituzionale che impone allo Stato italiano di tutelare i propri cittadini impegnati in iniziative umanitarie di tale portata.
Ha esortato il governo a esercitare una pressione decisa nei confronti di Israele, affinché si conformi alle norme del diritto internazionale e metta fine all’uso della forza militare nella Striscia.
La presenza di una delegazione della comunità araba locale ha conferito alla manifestazione un significato ancora più profondo, testimoniando il legame storico e culturale che unisce La Spezia alla causa palestinese.
Dal palco, la voce di Abderrahim, operatore sanitario fuggito dalla Striscia di Gaza, ha squarciato il silenzio con un racconto straziante di sofferenza e perdita.
Le sue parole, cariche di dolore e disperazione, hanno dipinto un quadro vivido dell’inimmaginabile: bambini, donne e anziani falciati dalla guerra, famiglie distrutte, vite spezzate.
“Dal 1948 in Palestina non esiste infanzia, solo guerra,” ha denunciato con rabbia, esprimendo il profondo trauma che si tramanda di generazione in generazione.
Abderrahim ha condiviso la sua personale esperienza di sopravvissuto, descrivendo la costante angoscia di chi ha parenti ancora intrappolati nella Striscia, esposti alla fame, alla sete e alla brutalità dei bombardamenti.
La sua testimonianza ha trasceso il mero resoconto di eventi, diventando un appello disperato alla coscienza mondiale.
La sua richiesta non era di semplici aiuti umanitari, sebbene questi siano necessari, ma di qualcosa di molto più fondamentale: il riconoscimento e la tutela dei diritti del popolo palestinese, il diritto a una terra, a una dignità, a un futuro.
Un futuro in cui i bambini possano crescere senza la paura della morte, in cui le donne possano vivere in sicurezza, in cui gli anziani possano godere della serenità della vecchiaia.
Un futuro, in definitiva, in cui la parola “guerra” non sia più sinonimo di “Palestina”.