La vicenda di Monia Bortolotti, la donna accusata della morte dei suoi figli Alice e Mattia, ha concluso il suo iter giudiziario con un verdetto di assoluzione emesso dalla Corte d’Assise di Bergamo.
Un caso complesso, intriso di profonda sofferenza e che solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità penale, la salute mentale e il ruolo dello Stato nella protezione della vulnerabilità.
Per quanto riguarda la scomparsa di Alice, la Corte ha deliberato l’assoluzione poiché il fatto stesso non sussiste.
In altre parole, non sono stati presentrati elementi probatori in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la morte della bambina fosse il risultato di un atto volontario e intenzionale.
Questa decisione sottolinea l’importanza, nel diritto penale, di una prova solida e incontrovertibile per poter accertare la responsabilità di un individuo.
La situazione si è rivelata differente nel caso relativo alla perdita di Mattia.
In questo frangente, la Corte ha assolto Monia Bortolotti per totale incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti.
Questa circostanza, che esclude la responsabilità penale, implica che, al momento della morte del bambino, la donna si trovava in uno stato di alterazione psichica tale da impedirle di comprendere la natura e la gravità delle proprie azioni, o di controllarle.
Un concetto giuridico delicato che richiede una valutazione approfondita da parte di periti psichiatrici e che si basa sulla presunzione di innocenza e sulla necessità di non punire chi agisce in stato di infermità mentale.
La sentenza, lungi dal rappresentare una chiusura definitiva, apre a una fase di tutela e di monitoraggio.
Monia Bortolotti sarà collocata in una Residenza per l’Assistenza Sanitaria, una struttura specializzata nella cura e nel recupero di persone con disturbi psichici.
Questo provvedimento, esteso per un periodo di dieci anni, è finalizzato a garantire la sua sicurezza e quella della comunità, e prevede una revisione semestrale delle sue condizioni di salute mentale.
La misura riflette un approccio orientato alla riabilitazione e all’integrazione sociale, riconoscendo la necessità di un supporto continuo e specializzato per la donna, piuttosto che una semplice sanzione detentiva.
L’episodio solleva, inoltre, questioni etiche e sociali di rilevanza nazionale.
Quali sono i segnali di disagio psichico che non vengono intercettati? Come migliorare i servizi di supporto alla genitorialità, soprattutto in situazioni di fragilità? Qual è il ruolo delle istituzioni nella prevenzione di tragedie simili? La vicenda di Monia Bortolotti, pur nella sua drammaticità, può rappresentare un’occasione per riflettere e rafforzare i sistemi di tutela dei soggetti vulnerabili, promuovendo una cultura della prevenzione e dell’assistenza basata sull’empatia e sulla responsabilità collettiva.









