La sentenza della Corte d’Appello di Brescia ha ratificato la pena inflitta in primo grado a Piercamillo Davigo, consolidando una vicenda giudiziaria complessa e controversa.
La condanna a un anno e tre mesi di reclusione rappresenta l’esito di un lungo percorso processuale, segnato da un precedente intervento della Corte di Cassazione.
Quest’ultima, accogliendo un ricorso, aveva annullato con rinvio la specifica sezione della sentenza che riguardava l’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio a terzi, rimettendo la questione alla valutazione di una nuova Corte d’Appello.
L’elemento centrale della difesa, sostenuta dall’avvocato Davide Steccanella, si radica nella convinzione che le azioni del suo assistito fossero intrinsecamente motivate dalla ricerca del ripristino della legalità e non abbiano compromesso, anzi, abbiano contribuito a innescare un’indagine cruciale.
La prospettiva difensiva argomenta che, senza l’intervento di Davigo, sollecitato dall’assoluzione di Storari – circostanza che inquadra l’azione come risposta a una situazione percepita come ingiusta e meritevole di ulteriore approfondimento – l’indagine stessa non sarebbe mai stata avviata.
Questa argomentazione solleva questioni di profonda rilevanza giuridica ed etica.
Il concetto di “ripristino della legalità” assume una connotazione particolare quando invocato da un soggetto esterno agli organi istituzionali, mettendo in discussione i confini tra l’esercizio di una responsabilità civile e l’interferenza con un’inchiesta giudiziaria in corso.
La difesa di Davigo sembra suggerire una sorta di “dovere morale” di intervenire in situazioni percepite come distorsioni della giustizia, un’interpretazione che contrasta con il principio di separazione dei poteri e l’obbligo di rispetto delle procedure legali.
La vicenda pone, inoltre, interrogativi sulla responsabilità di chi, pur non essendo magistrato o funzionario pubblico, si trova in una posizione di conoscenza privilegiata e decide di agire in modo autonomo, presumendo di agire nell’interesse della collettività.
La linea di demarcazione tra la legittima denuncia di irregolarità e l’inosservanza delle norme processuali è spesso sottile e la sua interpretazione può variare in base alla prospettiva giuridica e ai valori morali in gioco.
La sentenza della Corte d’Appello di Brescia, sebbene consolidata, continuerà a generare dibattito e a stimolare riflessioni sull’equilibrio tra l’interesse pubblico, la tutela della giustizia e il rispetto delle istituzioni.
Il ricorso presentato dalla difesa mira a riconsiderare questi aspetti, auspicando una rivalutazione del quadro complessivo e una revisione della condanna.



