L’annuncio della partita Milan-Como, destinata a disputarsi a Perth, in Australia, l’8 febbraio, ha scatenato un acceso dibattito e un’immediata reazione da parte del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.
La sua affermazione, definendo l’iniziativa come “una fesseria”, non si limita a una semplice critica, ma solleva interrogativi profondi sull’impatto culturale, economico e sportivo di tali scelte.
Questa decisione, lungi dall’essere un episodio isolato, si inserisce in una crescente tendenza alla “globalizzazione” del calcio, con la sua esportazione in mercati internazionali alla ricerca di nuovi introiti e di una maggiore visibilità.
Sebbene l’attrattiva di espandere il brand del calcio italiano verso nuovi territori sia comprensibile, essa deve essere attentamente ponderata alla luce dei suoi potenziali effetti collaterali.
La decisione di portare una partita di Serie A in Australia implica una serie di considerazioni che vanno ben oltre il mero profitto.
Innanzitutto, si pone la questione dell’accessibilità per i tifosi storici, per coloro che hanno contribuito a costruire la passione e la cultura del calcio italiano.
La distanza geografica e i costi del viaggio rendono impossibile per molti sostenitori assistere all’evento, creando un senso di esclusione e di alienazione.
Inoltre, l’esportazione del calcio rischia di snaturare la sua identità, svincolandola dal contesto sociale e culturale in cui si è sviluppata.
Il calcio italiano non è solo un gioco, ma un elemento fondamentale del tessuto sociale, un veicolo di emozioni, di appartenenza e di identità nazionale.
Trasferire una partita in un paese lontano significa privarla di questa dimensione culturale, trasformandola in un mero prodotto di intrattenimento.
L’impatto ambientale non può essere trascurato.
I viaggi a lunga distanza, gli spostamenti di atleti, personale tecnico e tifosi generano emissioni di gas serra significative, contribuendo all’aggravamento del cambiamento climatico.
In un’epoca in cui la sostenibilità ambientale è diventata una priorità globale, scelte di questo tipo appaiono quanto meno contraddittorie.
Infine, la decisione solleva interrogativi sulla governance del calcio italiano.
Chi ha il diritto di decidere dove e quando si disputano le partite? Quali criteri vengono utilizzati per prendere queste decisioni? È necessario un dibattito pubblico e trasparente per definire le regole e i limiti dell’esportazione del calcio, garantendo che le decisioni siano prese nell’interesse del bene comune e non solo di pochi interessi economici.
L’affermazione di Salvini, pur essendo un commento immediato e diretto, è un campanello d’allarme che invita a una riflessione più ampia e consapevole sul futuro del calcio italiano.







